Accogliere e medicalizzare

Sin dalla sua fondazione e per tutti i primissimi decenni di vita dell’istituto, l’intero dibattito, avviato dai diversi attori istituzionali che erano intervenuti sui suoi assetti e sulle sue finalità, ruotava attorno ad un interrogativo: l’istituto avrebbe dovuto mantenere il ruolo di mera assistenza, accogliendo tra i malati di mente solo gli incurabili innocui – conservando pertanto il carattere di cronicario – o, viceversa, specializzarsi nella cura psichiatrica, secondo il più moderno paradigma psichiatrico al tempo già ben delineato?

L’oscillazione tra i due poli è alquanto netta: se per un verso sembrava persino escludersi l’orizzonte della malattia mentale (il dibattito sviluppatosi attorno allo statuto va in questa direzione30), per un altro gli ingressi definitivi presso l’istituto prevedevano il decreto del Tribunale in osservanza della norma sugli internamenti manicomiali al tempo vigente solo in Toscana e da lì a poco, nel 1904, introdotta in tutta Italia31. L’adozione di questa norma, che squisitamente contraddistingue il moderno governo della malattia mentale, sembra pertanto spingere la vita dell’istituto verso i più moderni processi di medicalizzazione ed avviarlo verso la trasformazione in un moderno manicomio. Di segno opposto, ossia verso l’adozione del classico modello di antico cronicario, sembrano assestarsi, invece, le considerazioni contenute in un documento della Direzione sanitaria degli Spedali Riuniti di Volterra del settembre 1895:

[…] mi compiaccio che la deputazione provinciale sia divenuta nel concetto già tanto da me sostenuto di permettere l’ammissione dei dementi innocui nel locale Ospizio piuttosto che inviarli con disagio e con dispendio al manicomio come si è praticato fin qui: non si può anche matematicamente determinare a priori quali requisiti occorrano perché i dementi possano piuttosto annettersi nello Ospizio che nel manicomio; ma grossolanamente può dirsi che potranno sempre ammettersi quegli alienati i quali sono affetti da forme depressive primitive e secondarie, quelli che non hanno tendenza né potenza a nuocere a sé e agli altri; che non siano esaltati tanto da disturbare troppo la quiete e la relativa disciplina.

Il testo, che palesemente delinea un’istituzione-cronicario per incurabili innocui, si conclude affermando che prima della richiesta al tribunale, devono essere i medici condotti di volta in volta a decidere sul ricovero più idoneo32.

In realtà prima di avviare il processo di medicalizzazione, l’istituto dovette migliorare le proprie condizioni generali; le ispezioni condotte proprio nel 1888 – anno in cui per l’appunto si accolsero le prime dementi provenienti dal manicomio senese – delineavano una situazione alquanto precaria se non disastrosa: accolta la nomina di un ispettore del ricovero di mendicità, la prima nota segnala un deficit generale di igiene personale e una dieta con porzioni di pane troppo abbondanti e «poco vino». Più interessanti le annotazioni dei successivi ispettori sia per la loro presenza attiva nella vita dell’istituto, sia per la profondità delle analisi e per la dovizia dei particolari delle relazioni redatte. Ecco le note del «collegio degli ispettori del ricovero di Mendicità» stilate in data 9 febbraio 1888:

1. Alla porta d’ingresso nessun ricoverato trovasi di servizio; il sorvegliante risponde che nessun ricoverato è idoneo a tal servizio.

2. Il sorvegliante è vestito in modo che «reputo in decoroso e a pregiudizio della buona impressione di pulizia e di disciplina che apportar deve il ricovero ai signori che si compiacciono visitarlo». L’eccessiva trascuratezza di chi per primo dovrebbe dare l’ esempio – si nota – certo non giova ai ricoverati.

3. I «carneroni» e i dormitori lasciano molto a desiderare sulla pulizia e sul modo in cui devono essere tenuti gli oggetti.

Il ricovero deve pur offrire l’idea di una buona disciplina e di quella pulizia necessaria a tutte le famiglie ma indispensabile poi negli stabilimenti nei quali vi è un certo agglomeramento di persone. L’inconveniente è considerato gravissimo poiché si dà ai cameroni «l’idea di un magazzino di oggetti usati, anziché quello di dormitori assestati e propri».

In una lettera, datata 25 febbraio 1888, un ispettore fa osservare alla presidenza della Congregazione di Carità che il ricoverato T. è stato trovato in città in uno stato di vestiario «indecentissimo al punto di avere i pantaloni rotti in posti vergognosi tanto che mostrava la nuda carne». Di ciò si ritiene responsabile tanto il ricoverato tanto il sorvegliante e si invitano i responsabili della Congregazione a voler «energicamente» provvedere in proposito, «tanto più che non è la prima volta [. .. ] che ho dovuto rimarcare in altri ricoverati simili inconvenienti».

Una particolare enfasi e un giudizio particolarmente negativo sono attribuiti al fatto che il «direttore sorvegliante», rimasto addormentato oltre il tempo previsto, lasci che i ricoverati possano vagare nel quartiere di San Lazzero – cioè il quartiere limitrofo all’istituto – «a comprare vitto e vino».

Ancora più capillare è il sistema di controllo e di ispezione posto in essere nella primavera del 1888 e reso esplicito nel Rapporto del maggio dello stesso anno. In esso gli stessi ispettori raccontano di aver chiamato alcuni ricoverati e di averli fatti spogliare in loro presenza; quindi:

Fatti pettinare, [è stata notata] con meraviglia che la pulizia del capo viene quasi totalmente trascurata essendo tutti quanti sudici di forfora tale da far temere che possano esservi o esservi recentemente stati, degli insetti. Ciò avviene certamente perché la maggior parte dei ricoverati sono sprovvisti di pettini e del necessario per poter esigere la dovuta pulizia. Fatta quindi la rivista ai panni e fatti nudare i sopracitati individui, è stato osservato che benché la biancheria sia discretamente pulita alcuni di essi sono sudicissimi e sulle loro carni si scorgono ancora le traccie di escoriazioni avvenute da pochi giorni per morsicature di insetti e per graffiature prodottesi dal prurito; dal che noi abbiamo dovuto concludere che se questo giorno non si sia accertata la presenza di sudici animali, pur tuttavia siamo convinti che da poco tempo siano spariti.

Viene precisato inoltre che il ricoverato S. non nega di aver continuamente avuto indosso i «piattoni» e «non toglie esso stesso il dubbio di poterne anche attualmente avere». Il Rapporto ha ovviamente toni molto duri sulla situazione complessiva dell’istituto e si rimprovera al sorvegliante di non aver attuato le precise misure già invocate in precedenza.

Un ultimo Rapporto, quello di settembre, chiude il ciclo delle ispezioni dell’anno 1888 e segnala: alle sei e mezzo del mattino giunse l’ispettore trovando solo pochi ricoverati già alzati dal loro letto, «nessuno poi attendeva a fare quella pulizia necessaria a qualunque abitazione nelle prime ore del mattino». Recatosi poi inaspettatamente al Ricovero, l’ispettore vi trovò solo pochissimi ricoverati nella stanza di alloggio del Direttore sorvegliante e constatò «con somma mia meraviglia» che ancor esso anziché vigilare «trovavasi in letto addorrnentato»33.

Le ispezioni, con i loro rapporti provvisori o conclusivi, costituiscono un aspetto importante del funzionamento istituzionale in materia di governo della malattia mentale, su cui forse poco si è soffermata la storiografia. Tali ispezioni, infatti, che hanno interessato tutte le strutture pubbliche e tutti i rami della burocrazia, aprono una contraddizione interna alle dinamiche di gestione delle istituzioni: per un verso costituiscono una sorta di contro-canto del discorso istituzionale, dal momento che mettono a nudo le condizioni disperate e di assoluto degrado in cui strutturalmente precipitano questo tipo di istituzioni; per un altro, grazie anche allo svelamento di una realtà presentata nella sua versione più cruda, sviluppano una sorta di risorsa, suscitano un’aspettativa di modifica, di riforma raggiungibile e realizzabile che però, lungi dall’essere compiuta, non rappresenterà che una mera occasione di consolidamento delle basi di legittimazione delle istituzioni stesse. In altre parole, la capacità di far intravedere una modifica si cristallizza in una capacità di mantenimento dello status quo34.

Il carattere di cronicario connoterà a lungo l’esperienza istituzionale volterrana dal momento che il San Girolamo sarà principalmente luogo di accoglienza, quando non un vero e proprio ricetta colo di soggetti, malati cronici, già espulsi da altri manicomi o da altre istituzioni totali35. Se per un verso, quindi, accoglierà le esigenze di sfollamento dei manicomi limitrofi, assumendo il carattere di cronicario, per un altro l’istituto di Volterra non resterà estraneo al grande dibattito e alla battaglia che, proprio nel corso degli ultimi decenni del XIX secolo, gli psichiatri avevano ingaggiato per fondare moderni manicomi: la cura, infatti, avrebbe dovuto assumere una priorità ed uno spazio ben preponderante rispetto alla mera accoglienza di soggetti residuali, che già altre istituzioni non volevano più continuare ad accogliere; la realizzazione di quel processo di medicalizzazione e di specializzazione degli istituti manicomiali finalizzato alla restituzione della sanità mentale, non solo al contenimento della malattia, era infatti fortemente evocato. In verità, oltre all’antinomia tra assistenza e medicalizzazione, questo periodo della vita dell’istituto si colloca e rende palese una contraddizione interna al moderno paradigma psichiatrico: quello che vede lo stesso paradigma emergere sulla base dell’utopia della guarigione, ma che immediatamente distingue tra malati curabili ed incurabili. A questi ultimi sembra infatti destinato, in una prima fase, l’istituto volterrano e ciò rende – nei fatti e nell’organizzazione – l’istituto un autentico cronicario.

Ancora a queste contraddizioni rinviavano le considerazioni contenute nella corrispondenza che segue: in un documento del 2 febbraio del 1892, la deputazione provinciale di Livorno intendeva avere delle informazioni sulle finalità dell’istituto dal momento che «le province di Pisa e di Siena presero la determinazione di affidare i dementi innocui e cronici a codesto asilo di mendicità36. La risposta, che conferma la scelta delle due deputazioni, sottolineava l’aspirazione a fare dell’istituto di San Girolamo un luogo di specializzazione anche se al momento poteva vantare soltanto la presenza di un medico condotto per la cura dei malati, mentre si lamentava la mancanza di spazi adeguati, che, come è noto, costituiva un leit-motiv della tecnica manicomiale.

Cronici, innocui, soggetti genericamente bisognosi di assistenza restarono a lungo, comunque, gli ospiti dell’ospizio di mendicità; è il bisogno di assistenza che spingeva molte famiglie a richiedere forme svariate di sostegno ed eventualmente sarà poi il medico a selezionare l’istituto più adatto e ad indicare la soluzione più congrua. Giulia C. in una lettera, non datata ma attribuibile al 1897, spiega che:

Trovandosi impossibilitata dover mantenere le sue tre creature più essendo essa incinta con poca salute supplica la Sig. vostra Ill.ma a volerli concedere un qualche sussidio per il mantenimento di un suo figlio essendo il detto bambino con poca salute ed esso richiede assistenza e custodimento perciò si raccomanda alla sua buona grazia che il detto bambino venga assistito essendo la madre senza nessun mezzo di sussistenza ed essendo detti bambini di undici, di quattro e di sei anni.

Il medico che controfirma la richiesta ha un ruolo importante perchè dopo aver visitato il bambino e confermato l’urgenza di un sussidio lo definisce «troppo gracile per affidarlo ad una famiglia di agricoltori» e ne richiede il ricovero in un orfanotrofio, evitandogli l’internamento presso l’asilo di San Girolamo37.

Altrettanto chiaro è il fatto che da parte di altre istituzioni di assistenza si richiede il trasferimento presso l’istituto volterrano solo per i cronici senza possibilità di recupero. Lo dimostra a chiare lettere uno scambio epistolare svoltosi tra il manicomio di Siena e quello di Lucca, che periodicamente inviavano propri ex-degenti nello stabilimento volterrano. In un documento della “Società Esecutori di Pie disposizioni in Siena” del marzo del 1891, si chiede il trasferimento a Volterra di due epilettici, «che non vanno frequentemente soggetti ad accessi convulsivi». Ed è proprio per questa ragione che erano stati proposti per il trasferimento presso il ricovero di Mendicità, ma se la Direzione dell’asilo volterrano non intende accettarli, lo scrivente «non crede di dover insistere». Si informa, inoltre, che «il S. è poi debolissimo di mente ed innocuo, il B. possiede un carattere un po’ eccitabile, ma non è dominato da pericolose tendenze, mentre, per quanto un po’ debole di mente, mostrasi assiduo lavoratore». Sarà, ancora una volta, l’occasione perché da Volterra si lamenti la mancanza di locali idonei al ruolo che dovrebbe espletare38.

Sugli stessi codici sembrano assestarsi i rapporti tra l’ospizio di mendicità di Volterra e il manicomio di Lucca. Una lettera del direttore del manicomio di Fregionaia rende esplicita quella che è la realtà di San Girolamo: il direttore certifica infatti che il signor Augusto S.

è affetto da un lieve grado di demenza consecutiva a frenosi alcoolica. Egli un tempo fu assai esaltato, confuso, incoerente: la vita obbligatoria di astinenza lo ha reso quieto e tranquillo. Le sue facoltà mentali sono, come si è detto, deficienti, ma abbastanza equilibrate; ed è quindi scevro da ogni pericolo, per sé o per altri, si chiede il suo collocamento in un ospizio di mendicità; misura resa necessaria dal non avere egli nessuno che possa prendersene cura39.

A prevalere sarà l’accoglienza per dementi innocui, non la medicalizzazione, né l’utopia di poter gestire e governare le molteplici epifanie del disagio mentale. L’istituto di San Girolamo resterà a lungo principalmente un luogo di ricovero per incurabili, il cui progetto terapeutico non ebbe certo un peso preponderante.

Questo tratto non è sfuggito a coloro che hanno tracciato la storia istituzionale dello stabilimento: Fabio Guidi, podestà di Volterra, ad esempio, nel 1931 dopo aver ricordato il manicomio di San Girolamo come «uno dei maggiori e dei più importanti d’Italia, formatosi meravigliosamente in pochissimi anni, e come oggi giustamente sia una istituzione che gravita moralmente e finanziariamente nella vita cittadina con grande ed inestimabile beneficio», afferma che nel 1888 la deputazione provinciale di Pisa, presieduta dal Prefetto comm. Sensales, era preoccupata per l’alto costo del manicomio senese e cercava una soluzione per gli innocui cronici che «avevano bisogno di essere solamente guardati e custoditi di vitto»40.

Il problema, in verità mai risolto in nessuna realtà manicomiale dove continueranno sempre a convivere tipologie di malati differenti, sarà ancora al centro delle attenzioni di Luigi Scabia, che esplicitamente parla di vera funzione manicomiale in riferimento all’accoglienza e alla cura di pazienti affetti da patologie (quali l’amenza), che permettevano all’alienista di sperimentare il proprio sapere e per i quali non era impossibile raggiungere la guarigione e le definitive dimissioni41.

La vocazione, o meglio, l’impegno per fare del San Girolamo un vero manicomio, e non un cronicario, fu infatti costantemente presente nella prima fase di costruzione del manicomio di Volterra: in un documento del 1902, Scabia ribadisce, ancora una volta, che alcuni ricoverati «potrebbero stare in un ricovero di Mendicità». Di una paziente in particolare si spinge fino a sostenere che «ha solo paura di essere mandata a casa e di lasciare la vita comoda per lei dell’asilo»42.

© Edizioni ETS, VINZIA FIORINO
Le Officine della Follia, Il frenocomio di Volterra (1888-1978) Cap. I Le Origini, Ed. Edizioni ETS, 2011, pp 304
FONTI
30 ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 5, fasc. Affrancazione di censo.
31 Per S. B. di 78 anni, ad esempio, il passaggio a internamento definitivo è autorizzato dal Tribunale civile e correzionale di Pisa nel 1895; cfr. ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 10, fasc. Corrispondenza varia.
32 ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 10, fasc. Corrispondenza varia.
33 ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 5, fasc. Rapporti degli ispettori.
34 Michel Foucault ha, analogamente, sottolineato l’esigenza costante di riformare le prigioni; tale reiterata richiesta sembra far parte dello stesso funzionamento dell’istituto carcerario dal momento che accompagna ogni momento della storia dell’istituzione; cfr. il suo Surveiller et punir. Naissance de la prison, Gallimard, Paris 1975 (trad. it. di Alcesti Tarchetti, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino 1976, in particolare pp. 255 e ss.).
35 «Rifiuti» di altri manicomi, li chiamerà Luigi Scabia in vari suoi interventi; cfr. ad esempio il suo Funzionamento dell’istituto durante gli anni 1888-1903. Relazioni del Direttore Sanitario all’Onorevole Congregazione di Carità, Sborgi, Volterra. 1904, p. 12.
36 ASOPVo, Archivio amministrativo, b. l, fase. Dementi innocui. Corrispondenza Livorno.
37 ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 10, fasc. Collocamento di minori.
38 ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 1, fasc. Dementi innocui.
39 ASOPVo, Archivio amministrativo, b. l fase. Dementi innocui.
40 Fabio Guidi, Come nacque il manicomio, in «Rassegna volterrana, Rivista d’Arte e di Civiltà», V, (1931), 1, pp. 34-36 (le citazioni sono rispettivamente alle pp. 34 e 35).
41 Luigi Scabia, Funzionamento dell’istituto durante gli anni 1888-1903, cit., p. 13.
42 Scritto di Scabia indirizzato al Presidente e ai componenti della deputazione provinciale di Porto Maurizio relativo al periodo luglio-agosto 1902 in ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 12, fasc. Corrispondenza con la provincia di Porto Maurizio.