Una direzione medica

Un aspetto fondamentale per la collocazione dell’istituto nell’alveo dei moderni manicomi era rappresentata dalla complessa questione della direzione medica, non scindibile dal problema delle reali funzioni espletate dal direttore stesso. L’istituto ebbe fino al 1899 un medico condotto, Francesco Marcacci, che quotidianamente visitava i ricoverati, ma le cui funzioni erano certo lontanissime e molto ridotte rispetto a quelle del medico direttore di un moderno manicomio.

Su questo aspetto è importante richiamare alcuni elementi.

Il moderno paradigma psichiatrico attribuisce infatti alla figura del medico direttore una centralità assoluta e ciò costituisce una delle novità più significative del nuovo approccio43. Il trattamento morale si incentra infatti proprio sull’internamento, fatto terapeutico in sé – sostengono i nuovi riformatori attivi all’indomani della Rivoluzione francese – nonché sulla relazione tra paziente e medico; al riguardo, Philippe Pinel individua come il più potente dei rimedi, quello che consiste nell’arte di soggiogare e di domare, per così dire, 1’alienato, ponendolo sotto la stretta dipendenza di un uomo che, per le sue qualità fisiche e morali, sia in grado di esercitare su di lui un totale dominio, e di spezzare la catena viziosa delle sue idee44.

Ancora poco prima di Pinel, un altro nome di spicco per il moderno paradigma psichiatrico, il medico idéologue Pierre Cabanis aveva esplicitamente teorizzato il diritto per il medico direttore di decidere su tutto ciò che concerne la vita interna dell’ospedale, avendo per giudice solo la sua coscienza45.

Il dissidio tra braccio amministrativo e direzione medica percorrerà tutti gli stabilimenti per l’intero lungo Ottocento, non venendo certo meno nel corso del Novecento. Non sfuggì a ciò ovviamente il caso volterrano ed infatti le testimonianze di Marcacci, riferite agli anni 1896-97, attestano in modo inequivocabile il problema: il suo ruolo era di fatto ancillare e, più precisamente, secondo una consuetudine già presente fin dall’antico regime, decisivo solo per le dimissioni dei pazienti46. Le note di Marcacci descrivevano inoltre le malattie più diffuse, che erano naturalmente quelle terminali; non mancavano, infine, gli auspici per un servizio più completo e regolare da attuarsi anche grazie alla possibilità di godere di spazi più ampi. La centralità assoluta del medico direttore teorizzata dal modello alienistico restava comunque lontana.

Il 1899 segnerà una prima svolta importante nel processo di medicalizzazione dell’istituto: sarà infatti ultimato e inaugurato un nuovo e tanto anelato edificio e si istituirà formalmente la carica di Direttore. Sarà Antonio Gammarelli il primo medico a dirigere l’asilo dei dementi di Volterra, sia pur per breve tempo (esattamente dal marzo all’agosto del 1899), dal momento che tornerà poi all’ospedale romano; lo sostituirà il più celebre Augusto Giannelli, anche lui proveniente dal manicomio Santa Maria della Pietà di Roma. La Congregazione di Carità in data Il febbraio del 1899 aveva infatti deliberato di istituire una direzione sanitaria presso l’asilo dei dementi ed aveva approvato il relativo capitolato d’oneri per il servizio sanitario. Per quanto riguarda i compiti del direttore, si precisava che questi avrebbe avuto l’obbligo di risiedere nel quartiere assegnatogli, di effettuare le visite giornaliere e di stilare le diagnosi. Il direttore avrebbe dovuto essere il responsabile dell’intero servizio sanitario e di tutto ciò che avrebbe riguardato l’igiene dell’istituto; avrebbe dovuto poi redigere un rapporto quotidiano, trasmettere i certificati di dimissioni sia per coloro che avrebbero conquistato la libertà, sia per quelli affidati in custodia a domicilio. Il testo specifica inoltre (art. II) che al «direttore Medico spettano la classificazione dei malati, le ordinazioni dei medicinali» e, aspetto certo non di secondo piano, «Esso [il medico Direttore] soltanto indica i malati da impiegarsi nei lavori ed assegna le qualità dei lavori medesimi, il tempo pel quale debbano essere occupati. Concede i permessi per le visite ai malati, permette le passeggiate e le uscite temporanee, ordina le repressioni e permette l’uso dei mezzi contenutivi [ … ]»47. Ancora una volta, compiti circoscritti e ben delimitati al solo ambito medico, mentre l’intero progetto e tutto il sistema amministrativo dell’istituto restava interamente nelle mani della Congregazione.

Il documento informa e si sofferma su un altro aspetto importante: il lavoro si configura per gli ospiti dell’istituto come un’attività rilevante. Precise tabelle risalenti al 1890 testimoniano il tempo dedicato dai ricoverati alle attività lavorative che oscillavano dalle 4 alle 9 ore giornaliere48. In questo contesto non credo opportuno parlare di applicazione della terapia del lavoro, progetto che poi connoterà nettamente l’esperienza volterrana durante la lunga direzione di Luigi Scabia; ritengo tuttavia importante sottolineare la pratica dell’attività lavorativa dei ricoverati attestata ben prima dell’arrivo del celebre direttore. Il quale, certamente, darà un impulso diverso, sia per la qualità sia per l’applicazione su larga scala di questa pratica terapeutica, che però era, per l’appunto, già in atto sia pur senza alcuna rilevante implicazione teorica. Un rapporto tendenzialmente più aperto con il territorio circostante (il documento esplicitamente cita permessi e passeggiate) giocato sulla base di concessioni di permessi, affidamenti esterni dei ricoverati, impiego in attività varie, abbozzano già una diversa fisionomia che l’istituto volterrano acquisisce sul finire del XIX secolo collocandosi in una posizione di tutta originalità nel panorama italiano.

Le ricadute reali dell’accelerazione impressa, proprio a partire dal 1899, al processo di medicalizzazione sono ben testimoniate in un documento riguardante le dinamiche dei ricoveri dei pazienti provenienti dalla provincia di Lucca. In seguito all’incapacità del manicomio lucchese di Fregionaia di far fronte all’aumento delle richieste di nuove ammissioni, il consiglio provinciale ritiene opportuno approvare una convenzione con la congregazione di Carità di Volterra in seguito alla quale si obbligava ad accogliere e mantenere presso l’asilo dei dementi cento malati «cronici, innocui, suscettibili di miglioramento o di guarigione, alla retta giornaliera di una lira». Risparmio finanziario e disponibilità di spazi con l’esplicita possibilità di accogliere nuovi malati motivarono positivamente l’iniziativa, ma l’enfasi è posta su un altro elemento: mentre con una precedente convenzione si accoglievano solo i «dementi innocui, cronici non suscettibili di guarigione, con la seconda [anche] i curabili e i bisognosi di cura». Si argomentò infatti che

Era l’istituto di Volterra in tali condizioni di organizzazione clinica da poter dare sicuro affidamento al consiglio che i dementi della provincia vi avrebbero trovato i mezzi, i conforti, i compensi terapeutici che la progredita scienza psichiatrica offre agli ammalati nei migliori nostri istituti in genere e in quello di Fregionaia in specie. […] il consiglio non voleva solo risparmiare, ma anche offrire un servizio adeguato alle conoscenze del tempo in materia così delicata49.

Il discorso istituzionale compie una virata sensibile rispetto ai primissimi anni di fondazione dell’asilo dipingendo ora il San Girolamo come un luogo «in grado di poter mantenere, assistere e curare, con tutti i presidi terapeutici ammalati di mente, non furiosi, suscettibili di guarigione»50.

Dopo aver ricordato l’ottima posizione, e la sostituzione degli antichi locali «disadatti per un asilo con nuovi ambienti ampi, areati, ben disposti», il documento si conclude auspicando che:

Nessun sussidio terapeutico mancherà agli ammalati di mente quando i vari reparti saranno compiuti […]51

Non mancano delle note negative: prima tra tutte, l’alta mortalità che si registrava nell’istituto. L’epidemia di gastro-enterite che colpì il San Girolamo, tra l’ottobre del 1898 e il marzo successivo, vide salire la mortalità alla ragguardevole percentuale del 9,62% della popolazione internata. Si argomentò, naturalmente, che si era trattato di una circostanza del tutto eccezionale, non dipendente da una gestione precaria, ma in un certo senso inevitabile in una struttura di questo tipo.

Tra non poche perplessità, il progetto di fare del San Girolamo un moderno manicomio continua il suo corso sul finire del secolo; accanto a tutti gli elementi già richiamati, il 1899 è l’anno in cui, su invito del Presidente della Congregazione di Carità Aurelio Caioli, i dottori Clodomiro Bonfigli e Augusto Tamburini furono chiamati a dare un loro giudizio di idoneità circa il progetto di costruzione di un moderno manicomio. I due psichiatri, al tempo tra i nomi certamente più in vista della psichiatria italiana, si recarono a Volterra esattamente il 27 marzo del 1899 per fornire, per l’appunto, un giudizio preliminare sul progetto di ampliamento dei locali (era prevista la copertura fino a mille posti) e di ammodernamento delle strutture nonché sull’organizzazione complessiva dell’istituto. Bonfigli e Tamburini, ovviamente favorevoli ad ogni possibilità di istituire un manicomio in quanto a loro avviso unica risposta ad un crescente bisogno sociale, notarono la particolare idoneità del luogo, che certo per posizione, orientamento e altitudine si prestava in modo particolare alla destinazione immaginata. L’opzione auspicata fu quella del manicomio-villaggio; con tutta evidenza, infatti, la costruzione di padiglioni disseminati nell’ampia collina era la più idonea. Altrettanto «naturale» sembrò ai due psichiatri la necessità di istituire una vasta colonia agricola (per la quale si sarebbe dovuto acquistare altro terreno), con cui, non solo si sarebbe risposto ad una delle più importanti esigenze della moderna tecnica manicomiale, ma si sarebbe fornito anche un’offerta terapeutica in perfetta armonia colle abitudini professionali della maggior parte degli alienati della regione, che appartenevano al ceto contadino52.

Ancora una volta, quindi, ciò che sarà il tratto caratteristico e specifico di tutta l’esperienza manicomiale volterrana, la terapia del lavoro, è già ben delineato nelle prospettive di sviluppo molto prima che Luigi Scabia la realizzasse su una scala significativamente più vasta.

Rivolta più ai problemi organizzativi e di tecnica manicomiale, è un’altra relazione, coeva alla precedente, e redatta da Augusto Giannelli, che, sia pur per breve tempo, sarà il secondo direttore dell’asilo dei dementi. Il parere espresso dal «libero docente di psichiatria e clinica psichiatrica nella Regia Università di Roma» sarà largamente positivo, in quanto il progetto corrispondeva nel complesso alle esigenze di un manicomio moderno. Giannelli dà un’ampia descrizione del luogo e del poggio di San Girolamo, sottolineandone l’ottima pendenza, in grado di consentire una facile canalizzazione per smaltire i materiali di rifiuto; definisce ottima la qualità dell’acqua sorgente e «seguendo i dati più recenti della scienza», prefigura una struttura «a padiglioni disseminati in numero di sei»53. La descrizione insiste poi sull’organizzazione dello spazio: nel fabbricato centrale avrebbero dovuto trovar posto al piano terreno gli uffici, al primo le abitazioni dei medici, mentre il secondo piano sarebbe stato destinato al guardaroba e all’abitazione delle Suore. I due edifici più vicini a quello centrale sarebbero stati occupati dalle infermerie e dai cronici, i due successivi dagli epilettici e tranquilli; non manca qualche breve saggio di classica tecnica manicomiale:

I due fabbricati più distanti, destinati agli agitati e clamorosi, sono stati disegnati colla facciata verso nord, nord-ovest perché le grida dei clamorosi che si trovano nei dormitori, non possano disturbare la quiete nei reparti vicini: in questi due fabbricati le celle di isolamento, le quali si trovano più vicine agli altri reparti, si aprono su un corridoio che serve a smorzare le grida di quei malati che per ragioni sanitarie vi saranno introdotti54.

Anche Augusto Giannelli pose l’accento su ciò che appare come la vocazione più specifica del futuro assetto manicomiale volterrano: l’organizzazione delle colonie agricole e quindi la terapia del lavoro.

«Il poggio di San Girolamo ha su tutte le altre località vicine che io ho visitate il vantaggio immenso di poter offrire un terreno adatto allo sviluppo della colonia agricola, una delle più importanti esigenze della tecnica manicomiale moderna; per la naturale inclinazione del terreno i poderi si estendono in basso ad ovest verso il poggio volterrano da essere protetti dai venti [ … ]»55.

L’avvio di una direzione medica, che costituisce una prima cesura importante nella storia dell’istituto ebbe un iter abbastanza inceppato. È il caso di ricordare che al concorso per direttore sanitario dell’asilo dei dementi parteciparono molti candidati: Giulio Cesare Ferrari, medico di sezione nel manicomio di Reggio Emilia; Augusto Giannelli, primario al Santa Maria della Pietà e libero docente di psichiatria e clinica psichiatrica presso l’Università di Roma; Corrado Ferrarini, aiuto direttore alla Fregionaia di Lucca; Arnaldo Pieraccini, incardinato presso il manicomio di Macerata; Orlando Calocci di Perugia; Romano Pellegrini in organico presso il manicomio di Girifalco in provincia di Catanzaro; Luigi Scabia, al tempo attivo presso l’ospedale di Genova, ed infine Antonio Gammarelli. Quest’ultimo, come ho già anticipato, risulterà vincitore, ma espleterà il ruolo di direttore solo per breve tempo e alla sua seguirà una seconda e breve direzione ricoperta da Augusto Giannelli, che vincola la sua accettazione al permesso che il Direttore Bonfigli del manicomio Santa Maria della Pietà di Roma vorrà dargli56.

Il clima di grande incertezza sul futuro dell’asilo volterrano, in termini di concreta attuazione e sviluppo dell’ospedale stesso, emerge anche alla vigilia dello svolgimento dell’iter concorsuale. In questa occasione, precisamente nel gennaio del 1899, Eugenio Tanzi, al tempo direttore del manicomio di Firenze, scrisse di non voler incoraggiare un “suo” medico – il dottor Puglisi, che infatti non è presente nella lista dei candidati – ad «accettare un posto circondato ancora da molte incertezze» argomentando «che si potrebbe, con vantaggio, provvedere ai posti stabili di direttore e di assistente solo quando l’ingrandimento del manicomio fosse stabilito con sicurezza»57:

I timori di Tanzi saranno certo a breve smentiti e in questo senso la nomina di Luigi Scabia alla carica di direttore dell’asilo dei dementi, formalmente definita il 27 ottobre del 1900 con regolare delibera della Congregazione di Carità, costituisce uno snodo fondamentale58.

Con la direzione Scabia si avvia un processo nuovo nella direzione della medicalizzazione che già nel 1902 vedrà delle prime modifiche importanti: in quell’anno, infatti, l’asilo dei dementi sarà trasformato in “Frenocomio di S. Girolamo” e sarà approvato un nuovo Statuto. Mutano al tempo stesso i rapporti istituzionali: dopo una prima fase fortemente conflittuale, Scabia troverà nel nuovo presidente della Congregazione di Carità, Inghirami, un valido collaboratore e sostenitore dei progetti di ammodernamento dell’istituto.

Fu infatti lo stesso Inghirami a prendere l’impegno di far ottenere al frenocomio lo status di Ente Morale59. L’istanza della Congregazione di Carità avanzata al riguardo presso il Ministero incontrò, però, delle obiezioni nella stessa sede governativa: si chiese in sostanza di chiarire i rapporti tra l’ospedale e la provincia di Pisa che inviava solo una parte dei “propri” dementi poveri. Alle obiezioni ministeriali, il presidente della Congregazione Inghirami rispose, il 31 gennaio del 1902, con un’ articolata relazione finalizzata, ovviamente, ad ottenere la costituzione in Ente morale del frenocomio di San Girolamo. Viene ricordata l’azione promossa in favore dell’assistenza ai vecchi poveri e all’infanzia abbandonata, nonché l’ampliamento dell’opera in favore dei dementi, azione facilitata anche dal costo della vita particolarmente basso esistente nella cittadina (anche rispetto alla stessa Toscana) in virtù dell’assenza del dazio sugli alimenti. Sarà l’occasione anche per ricostruire la storia dell’intera vicenda istituzionale a partire dal ruolo decisivo svolto da Giuseppe Sensales, prefetto di Pisa, che nel 1888 consentì che alcuni dementi poveri ricoverati nel manicomio di Siena fossero trasferiti a Volterra e consegnati alla Congregazione di Carità. Fu ricordata, inoltre, la sistemazione dei primi degenti in angusti locali disabitati e attigui alle stanze da letto del ricovero di mendicità prima che si potesse usufruire di nuovi spazi ed avviare le prime convenzioni, esattamente con le province di Massa, Livorno, Lucca, che fecero lievitare il numero dei ricoverati. «Si riconobbe allora – scrive il presidente Inghirami – che non era più il caso di tenere questo genere di malati in contatto, se non in comunione con i poveri vecchi ricoverati i quali allora, non superavano tra maschi e femmine « i quaranta individui e si provvide a separarli completamente […]», si procedette inoltre a separare l’amministrazione e i bilanci. Lo stesso Presidente della Congregazione se individuava, per un verso, come importante il 1888 per il consenso ricevuto dal prefetto di Pisa ad avviare l’iniziativa, collocava nel 1898 le scelte più incisive per l’istituto, allorché anche grazie ai denari accumulati nei precedenti esercizi sulle rette, s’intervenne con la costruzione di nuovi spazi per la sistemazione di un maggior numero di malati di mente, si chiamò alla direzione dell’istituto un alienista, si adibirono le Suore per il servizio delle donne e l’istituto ricevette, «se non in diritto in fatto» l’intera legittimazione da parte dell’autorità competente, che infatti ne approvava i deliberati, i bilanci e le iniziative. La convenzione con la provincia di Porto Maurizio, l’ampliamento dei locali, l’introduzione del direttore alienista, l’obbligatorietà dei decreti del tribunale per l’internamento definitivo dei malati (dopo il periodo obbligatorio di osservazione) faranno a breve dell’istituto di San Girolamo un moderno manicomio. Al riguardo non possono mancare i riferimenti alle due relazioni stilate da Tamburini, Bonfigli e Giannelli come autorevoli fonti di legittimazione per le sue argomentazioni e per il suo obiettivo. Inghirami concluse il suo intervento affermando con decisione che la sua Congregazione non aveva alcun obbligo di chiedere al Consiglio provinciale di Pisa il consenso per la costituzione in Ente Morale del frenocomio, dal momento che non vi era alcun sussidio della provincia che la vincolava in questo senso, tant’è che il maggior contingente dei mentecatti pisani erano al tempo ancora ricoverati a Siena e il frenocomio non si limitava che al solo accoglimento di taluni mentecatti poveri posti a carico della Provincia pisana60.

Le vie della medicalizzazione sono comunque complesse ed è certo impossibile soprassedere su un punto cruciale del moderno governo della follia: se, il 18 marzo del 1902 in seguito all’approvazione della Congregazione di Carità, il frenocomio di San Girolamo ebbe il suo nuovo Statuto, punto certo qualificante per un moderno istituto manicomiale, il ruolo del medico direttore non appare quello esattamente teorizzato dalla riflessione psichiatrica del tempo. Il nuovo statuto promosse il superamento dell’ antico status di cronicario dal momento che prevedeva «il ricovero e la cura a pagamento di tutti gli ammalati di mente in qualsiasi stadio della malattia e a qualsiasi provincia appartenenti», specificando che era annessa al frenocomio una sezione destinata ai pellagrosi e ai cronici. Per le ammissioni e le dimissioni dei malati si facevano espliciti riferimenti alle norme contenute nella legislazione vigente, ma riguardo alla responsabilità di governo dell’istituto il Direttore non era neppure citato e l’interno governo dell’istituto restava appannaggio esclusivo della Congregazione. Il direttore era esplicitamente citato, invece, ancora una volta, in riferimento alle dimissioni dei pazienti, dal momento che il suo parere era vincolante per certificare la fine della malattia. Aspetti, certo non secondari, ma già previsti in alcuni istituti fin dai secoli passati61.

Per altri aspetti l’istituto era perfettamente inserito nelle linee istituzionali al tempo in auge per i manicomi: le già richiamate Suore, attive presso il San Girolamo, erano quelle dell’ordine Sorelle de’ poveri di Santa Caterina da Siena, che, in occasione delle trasformazioni istituzionali che l’asilo sta vivendo, proprio nel 1902 stipularono una nuova convenzione con la Congregazione di Carità in base alla quale ad esse competeva il servizio di “guardaroba e generali”; per la lavanderia e il guardaroba potevano avvalersi del contributo delle alienate secondo le indicazioni date dalla direzione sanitaria; il servizio di dispensa era invece «disimpegnato dalle suore sotto la diretta sorveglianza dell’economo» (art. 40). Lo stesso fu indicato per il servizio di cucina, che aveva in organico anche un cuoco ed un sotto cuoco; alle suore spettava anche il compito di coadiuvare le attività di custodia con gli infermieri.

Da parte della madre superiora, oltre ad alcune richieste più minute circa il numero delle suore da impiegare e la collocazione nei vari uffici, venne specificato:

E siccome per le persone del popolo, anche la differenza del nome può giovare a tenere in pregio l’autorità delle Suore esprimo il desiderio che la mia rappresentante e Superiora delle Suore non abbia il titolo di Ispettrice, come si dà agli infermieri, ma di Direttrice, rilasciando il titolo di ispettrice e di vice ispettrice (se vogliono) alle altre due suore per distinguerle dalle infermiere secolari62.

Nel complesso la vita dell’asilo nei suoi primi anni di attività mi sembra presentare questi due aspetti strutturali: in primo luogo, si tratta di un istituto di assistenza per malati incurabili che, se per un verso sembra porsi in continuità con i tradizionali istituti di assistenza, per un altro intravede i più moderni modelli di medicalizzazione. Alta mortalità e lunga degenza rimangono ovviamente i tratti conseguenziali più evidenti di tale assetto. In secondo luogo, si è già consolidata, fin dalle origini quindi, una particolare tipologia di relazione tra l’istituto e i suoi bacini di utenza: tutta la gestione dei ricoveri si muove secondo una logica di classi di internati, ossia di blocchi di soggetti che vengono trasferiti da un generico cronicario o da un qualsiasi altro sovraffollato manicomio all’istituto di San Girolamo. La scelta di operare (accogliere e talvolta dimettere) in base alle molteplici convenzioni stipulate con province vicine e lontane rende evidente questa logica. Per citare solo alcuni esempi ricordo che fin dalle origini arrivarono classi di malati incurabili da Siena, e lo stesso accade a partire dal 1895 dal manicomio di Fregionaia di Lucca, le cui convenzioni nel tempo mantennero sostenuti i flussi di ricovero63. Alla stessa logica di gestione, che definirei, senza tema di esagerare, di stoccaggio o di smistamento, appartengono le periodiche scelte di attuare dei trasferimenti, selezionati sempre per segmenti di soggetti omogenei. Nel 1899, ad esempio, delle 64 donne ricoverate, 38 risultano trasferite in altro luogo non indicato, pochissime le donne dimesse64.

I rapporti, dunque, tra l’istituto volterrano e il suo ampio bacino di utenza furono a lungo caratterizzati dalla continua sottoscrizione di convenzioni con altri istituti; le richieste, però, non furono sempre accolte: attorno al 1908 dal manicomio romano, per deficienza di locali, giunse la richiesta di far ospitare circa cinquanta dementi «agitati» presso il San Girolamo. Tale domanda non potrà, in questo caso, essere soddisfatta per deficienza assoluta di spazio65.

Questa nuova logica prevarrà e sarà perseguita su grandissima scala da Luigi Scabia.

© Edizioni ETS, VINZIA FIORINO
Le Officine della Follia, Il frenocomio di Volterra (1888-1978) Cap. I Le Origini, Ed. Edizioni ETS, 2011, pp 304
FONTI
43 Sul tema rimane fondamentale l’ampio lavoro di Robert Castel, L’ordre psychiatrique. L’age d’or de l’aliénisme, Éditions de Minuit, Paris 1976 (trad, it. di Giovanna Procacci, L’ordine psichiatrico. L’epoca d’oro dell’alienismo, Feltrinelli, Milano 1980).
44 Philippe Pinel, Traité medico-philosophique sur l’alienation mentale ou la manie, Richard, Paris 1800 (trad. it. di Francesco Fonte Basso, La mania. Trattato medicofilosofico sull’alienazione mentale, a cura di Francesco Fonte Basso e Sergio Moravia, Marsilio, Venezia 1987, p. 55).
45 Pierre J. G. Cabanis, Du degré de certitude de la Médecine, F. Didot, Paris 1798.
46 L’archivio conserva la documentazione del 1897 relativa a dei certificati di dimissione e di consegna dei ricoverati alle famiglie firmati da Francesco Marcacci: ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 10, fasc. Rapporto mensile dell’inventario del ricovero.
47 ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 37, fasc. Nomina del Direttore Giammarelli
48 ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 5, fasc. Ricovero di mendicità. Note sul lavoro e dei servizi fatti dai ricoverati.
49 Paolo Casciani, Relazione al consiglio Provinciale di Lucca sull’Asilo Dementi in Volterra, Volterra, Sborgi, 1899, p. 5; le precedenti citazioni sono a p. 3 e a p. 4.
50 Ivi, p. 5.
51 Ivi, p. 6.
52 Clodomiro Bonfigli-Augusto Tamburini, Relazione sul progetto di costruzione di un manicomio in Volterra, Sborgi, Volterra 1900.
53 Augusto Giannelli, Relazione sul progetto per la costruzione di un manicomio in Volterra, Sborgi, Volterra 1900, p. 5.
54 lvi, p. 6.
55 lui, p. 7.
56 Augusto Giannelli sarà direttore solo dal marzo all’agosto del 1899: ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 12, fasc. Direttori: Augusto Giannelli.
57 ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 37, fasc. Asilo dementi. Domande concorso al posto di Direttore.
58 Ibidem.
59 Il passaggio è in più luoghi sottolineato con enfasi da Luigi Scabia; cfr. ad esempio il suo: Funzionamento dell’istituto durante gli anni 1888-1903. Relazione del Direttore Sanitario, cit.
60 ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 13, fasc. Relazione per la costituzione in Ente morale del frenocomio di San Girolamo del presidente Inghirami – datata 31 gennaio 1902.
61 ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 13, fasc. Statuto, in particolare Titolo II, art. 9. Mi riferisco al manicomio di Roma, nel quale in seguito ad una decisione risalente al 1577 il medico firmava la “fede di sanità” a sua volta sottoscritta da un guardiano; cfr. Anna Lia Bonella, Fonti per la storia della follia. S. Maria della Pietà e il suo archivio storico (Secc. XVI-XX), in Provincia di Roma, L’Ospedale dei pazzi di Roma dai papi al ‘900, voI. l, Dedalo, Bari 1994, p. 19.
62 ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 13, fasc. Corrispondenza con la casa madre delle suore di S. Caterina.
63 Nel 1900, ad esempio, furono ricoverati 21 pazienti provenienti dal manicomio di Lucca: ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 12, fasc. Corrispondenza con la Provincia di Lucca.
64 ASOPVo, Archivio amministrativo, Registro delle ammissioni. Donne.
65 ASOPVo, Archivio amministrativo, b. 26, fasc. Richiesta per collocamento di alienati.