L’avanzata delle Balze «mangiò» chiesa e monastero

La prima notizia storica dell’esistenza delle Balze risale al 1140 quando, forse in seguito a un terremoto, venne danneggiata la chiesa di San Clemente, situata, a quanto ci risulta, vicino alla chiesa di San Giusto al Botro, ma a quota più bassa. Nei secoli successivi il primitivo borgo di San Giusto in Botro venne gradualmente, ma inesorabilmente, ingoiato dall’avanzata delle Balze. Le notizie storiche sull’evoluzione del fronte delle Balze sono sempre abbinate a qualche danno subito non dalle case private, ma da edifici pubblici, come le due chiese originariamente presenti in quella contrada.

> Sommario, La voragine delle Balze

Nel 1588, circa 450 anni dopo i danni subiti dalla chiesa di San Clemente, la frana raggiunse anche la chiesa di San Giusto. Successivamente, quando uno dei grandi monumenti di quell’infelice borgo veniva direttamente interessato dalla frana, si infittirono sopralluoghi e studi di tecnici per tentare (invano) di fermare quel dissesto.

Dal 1588 ai primi anni del 1600 si ha notizia che vari esperti, a più riprese, si interessarono dell’avanzata delle Balze, poiché era ormai imminente il coinvolgimento nella voragine della chiesa di San Giusto al Botro. La chiesa venne comunque investita dalla frana nel 1614 e nel 1648 era precipitata quasi completamente nel baratro.

Prima che la chiesa venisse distrutta dall’avanzata delle balze furono salvate le reliquie del Santo e le strutture notevoli, fra cui la mensa dell’altare (reca l’iscrizione «Testimonianza chiara dell’antico altare in onore di San Giusto, fatto costruire dal Gastaldo Alchis al tempo del Re Cuniperto ed essendo vescovo Gaudenziano») e le colonne monolitiche in pietra volterrana (panchina) ora visibili davanti la nuova chiesa di San Giusto.

Sono della fine del Seicento le relazioni di Giulio Giàccheri, Antonio Agostini e di Benedetto Lisci e Francesco Maffei.

Non disponendo delle prime cartografie delle Balze di Giulio Giàccheri (primavera del 1691) e di Lisci-Maffei-Agostini (settembre 1692), è importante la rappresentazione grafica delle Balze di Domenico Vadorini, intitolata Vulterrae Nova Descriptio nell’edizione originale, ribattezzata Nova Vulterrae Delineatio un secolo più tardi in una ristampa olandese a colori.

In questa mappa, che risale al 1637, si riconoscono chiese, case, mura etrusche, altri monumenti e manufatti all’epoca presenti nella contrada di San Giusto e dintorni.

Nel 1710 le monache benedettine abbandonarono il monastero di San Marco per il timore dell’imminente coinvolgimento nella frana di quel vetusto edificio ed i monaci camaldolesi abbandonarono l’omonima Badia nel 1861 per lo stesso motivo.

Il monastero di San Marco fu in seguito smantellato ed oggi ne restano pochi avanzi rimaneggiati all’estremità del Borgo San Giusto, inglobati nelle ultime case di fianco alla strada per Fraggina e Doccia. La Badia camaldolese (vedi foto), gioiello dell’architettura medievale e rinascimentale, dopo un lungo periodo di abbandono è stata salvata dal completo degrado con i lavori di restauro parziale effettuati negli anni 90.

Il tratto superstite delle mura etrusche, lungo il ciglio della balza di San Giusto, è stato oggetto di restauro e recupero nel 2006, con recentissima suggestiva illuminazione di un settore prospiciente la via pisana (febbraio 2007).

> Leggi, Le cause della forte erosione delle Balze

 

© Giancarlo Lari, GIANCARLO LARI
“Avanzando le Balze hanno «mangiato» chiesa e monastero”, in rivista “L’Araldo di Volterra”, 6 maggio 2007