Le saline da regalia vescovile a monopolio comunale

Questo modestissimo studio non ha davvero la pretesa di dare una fedele immagine della economia medievale volterrana nei riguardi della regalia e del commercio del sale e tanto meno di portare un contributo agli studi sulla finanza del medioevo. Si tratta soltanto di brevi e affrettate note di archivio, male insieme collegate. Se qualche studioso potrà trovare una notizia interessante o un’ipotesi accettabile in questo minuscolo scritto e se vorrà svilupparla sino a portare davvero un contributo alla storia della finanza medioevale Toscana, lo scopo che l’autore si propone sarà pienamente raggiunto.


ECONOMIA VOLTERRANA E COMUNALE

Ogni ordinamento economico politico e, di riflesso, ogni ordinamento giuridico, risente in notevole misura l’influenza del territorio nel quale esso germoglia e si sviluppa. Altri fattori (etnici, culturali e anche meramente psichici) influiscono sulla economia e sulla legislazione: ma non è ora il caso di occuparci di essi.

Il territorio di Volterra che nel medioevo era in prevalenza boscoso, aveva grandi ricchezze minerali: solfo, allume, sale e sopratutto, nei primi tempi, l’argento delle miniere di Montieri, fonte di ricchezza del Vescovo-Conte. Questo tipo di economia mineraria della vecchia Volterra ebbe certamente influenza notevole sul sorgere del Comune, sulle lotte che questi impegnò col Signore, sullo svolgersi della legislazione statutaria, la quale presenta notevoli e interessanti peculiarità.

Il Comune non fu che l’erede del patrimonio e dei privilegi dei Vescovi e, se si pensa quale ampio e ricco territorio abbracciava il vescovado volterrano, non meraviglia che su questo territorio convergano insieme e le vecchie pretese Vescovili, fondate sui privilegi imperiali, e la dinamica forza di espansione del Comune e le insidie dei Comuni vicini: soprattutto Siena e Firenze; la prima riesce per via di pegni a impossessarsi delle argenterie di Montieri, la seconda, per via di crediti e per mezzo di armi, a porre ben presto Volterra sotto la sua egemonia.

Fra le ricchezze minerarie volterrane, le saline hanno sempre occupato un posto importante. Le più antiche saline volterrane furono a Vada, ma si impantanarono nel secolo XII, mentre erano già sotto il dominio di Pisa1. Acquistarono invece importanza le saline del terriorio di Volterra, poste negli odierni mandamenti di Volterra e Pomarance, che sono ricordate come fiscali fin dal 972: le sorgenti di saline furono soggette a imposta e il Vescovo la percepì fin da quando ebbe poteri comitali2. L’importanza che il sale ha nella alimentazione, la piccola quantità di esso che occorre per l’uso comune, la facilità di sorvegliarne e disciplinarne il commercio hanno fatto sì che sino da tempi remoti il sale sia stato oggetto di regalia, sotto svariatissime forme peraltro. A Volterra esso da prima sembra far parte di una regalia Vescovile e sembra essere cespite importante delle rendite del Vescovo-Conte.


PATRIMONIO VESCOVILE

Come si formò il patrimonio del Vescovo? Allorchè il Vescovo ebbe, per successivi diplomi, i privilegi del conte fino a quello massimo di batter moneta, già si era formata la base economica del suo potere. Vendite, donazioni, precarie, forme giuridiche varie accentrarono nella mano del signore gran parte del patrimonio del futuro Comune, e con esso anche diritti regalistici: i privilegi imperiali segnano più uno stato di fatto già esistente che una futura conquista; anzi essi indicano un sorgere di nuove pretese da parte di nuove forze che sboccano giusto in questo tempo nel Comune.

Non è perciò strano che il Vescovo si trovi, sul finire del 1100, signore del territorio volterrano e investito dei diritti regalistici delle saline. Diritti importanti, se davvero Volterra fu il punto centrale del commercio del sale in Toscana3 e se le saline appaiono pegni preziosi, insieme alle argenterie, nel sempre più grave indebitamento del Vescovo4. In questo periodo di potenza del Vescovo-Conte e di timido sorgere del Comune, sembra che il Vescovo percepisse un dazio sul sale che doveva essere raccolto, per applicare l’imposta, in un magazzino (dogana), mentre le sorgenti salse (moie) e la fabbricazione e commercio del sale restavano liberi sotto la vigilanza degli agenti del Vescovo5. Il Comune tenta di sostituirsi e di avocare a sè le ricche rendite.6


PATRIMONIO COMUNALE

Come il patrimonio Comunale sia venuto formandosi è anche oscuro. Sono anche qui giuramenti di uomini di castelli, vendite di parti indivise o divise di terre con i relativi diritti feudali, sottomissioni di nobili del Contado, che lentamente formano il potere territoriale del Comune sul Contado stesso. Sopratutto sono i debiti che signori ecclesiastici e laici contraggono coi cittadini e che portano con se il pegno dei diritti sulle terre delle campagne.

Con la serie infinita dei giuramenti di sottomissione al Comune, devono essere caduti nelle mani di questo anche molti diritti sulle polle salse (moie), onde un primo titolo perchè il Comune possa rivaleggiare col Vescovo sulla dogana. Ma altre ragioni di indole politica (non occorre ricordare tutta l’evoluzione delle libertà comunali), e cioè il declinare della potenza Vescovile e il forte affermarsi del Comune hanno fatto si che, se non di fatto per lo meno in linea di diritto, il Comune potesse, fin dai primi del sec. XIII, affermare la sua preminenza sul commercio del sale, istituendo una propria dogana.


LOTTA PER I DIRITTI SULLE MOIE

La Dogana, di fronte al Vescovo ancora possessore di molte polle salse e ancora ricco, deve essersi arrestata da principio un po’… sulla carta. Il Comune deve, cioè, avere avuto una parte non assoluta, come l’ebbe di poi, nel commercio del sale e nella percezione dei dazi.

Ma i fatti si accanivano contro i poteri temporali del Vescovo e dove non poteva la ragione, poteva la forza. Così, fra il 1203 d il 1204, i Volterrani assaltano Pomarance, terra ricca di acque salse7 e si impossessano del Castello. Di qui la lite fra il Vescovo e i Volterrani, lite che termina con un patto di accomodamento fra Vescovo e Comune, secondo il quale i Volterrani restituiscono il Castello, ma sono immuni da ogni dazio o accatto, e, cioè, (questo per quel che ci interessa), il Vescovo perde la sua assoluta regalia sulle saline e l’acquista il Comune: illazione ben facile a trarsi, dati i moventi della disputa e il lodo che la definì.

Già a quest’epoca sembra stabilito un regime di accordo, fra Comune e Vescovo, per il sale: un accordo per il quale i redditi della dogana vanno divisi a metà. E’ ciò che accade anche per altre regalie, compresi i banni e le pene da riscuotersi nei castelli.

Si disputa solo della metà della dogana che il Comune vuole rivendicare a sè, non sappiamo per quali ragioni. E così si invia un allegato a Bologna a chiedere parere circa diritti Comunali sulla dogana8. Secondo l’esito del consiglio chiesto, e ove questo sia favorevole, dovrà il Potestà far valere e realizzare i diritti del Comune. Ci è ignoto il responso dei giureconsulti Bolognesi. Certo non deve essere stato avverso se dopo il 1227 sempre più vitale troviamo l’organizzazione doganale salina del Comune9.

Tanto forte era il Comune che i privati possessori di moie non potevano alienarle a terzi acquirenti senza prima avere sentito e interpellato il Potestà e consoli, i quali avevano diritto di prelazioni per l’acquisto entro il termine di otto giorni; ove la prelazione non fosse stata esercitata dal Comune il proprietario poteva vendere ad altri, ma sempre a cittadini di Volterra. In seguito, oltre i foresi, saranno eccettuati dalla facoltà di acquisto anche i chierici, gente sospetta, in questioni di regalie, di fronte al Comune; il venditore sarà inoltre obbligato a far denuncia del nome del compratore.

Tali capitoli poi dovevano entrare nel sacramentum populi. Infine si stabilirà una vera e propria espropriazione delle moie, in quanto che il Comune non avrà più soltanto prelazione negli acquisti delle acque salse, ma sarà l’unico legale acquirente: siamo ormai al monopolio e la evoluzione si segue con cristallina chiarezza negli statuti volterrani dal 1227 al 126510. Ma, come sempre avviene nei fatti umani, non diritta e senza deviazioni è la strada: ritorni indietro, ci sono e non mancano tentativi da parte dei Vescovi di rinvigorire l’ormai arido albero del loro temporale potere; tuttavia la dogana del sale, cara amorosa dei magistrati volterrani, sempre più si consolida fino a che, al declinare del 1200, diventa vero e proprio monopolio Comunale.

Notevole in questo periodo di transizione è la politica finanziaria che il Comune tiene col Vescovo; politica ora aggressiva ed ora conciliante: al Vescovo viene riconosciuto il diritto di tenere un suo rappresentante nella dogana, per la salvaguardia della sua parte di diritti, ma in subordine ai camerari del Comune; così anche a lui viene riconosciuto di poter interloquire per la nomina dei rettori di certi castelli11. Mentre il Vescovo nelle sue pretese si attacca ai suoi antichi privilegi, il Comune attua i suoi programmi in materia finanziaria di fronte al Vescovo stesso e li maschera con la consueta protesta di agire secondo il suo stretto diritto. La verità è che il più forte è il Comune. Più forte nella finanza come è più forte nella politica e nelle armi.

Il Vescovo, stretto fra l’incalzare delle conquiste comunali, guelfe o ghibelline poco importa, e fra le pretese di creditori insoddisfatti e le richieste della Camera imperiale, non è un avversario invincibile.


CAMERA IMPERIALE

Ma a un certo momento il caos regalistico della finanza in Toscana (caos sorto dalle pretese dei Comuni e dalla debolezza dei Signori) sembra doversi chiarire e sembra che un grave pericolo minacci e le pretese dei borghesi e i privilegi dei conti: i primi avevano, a dispetto delle leggi sull’inalienabilità del feudo, acquistato insieme terre e regalie, ed i secondi avevano permesso ciò ed erano morosi per i tributi feudali di fronte alla Camera imperiale. Federico II rianima l’idea imperiale e coi suoi messi cerca di rivendicare i diritti fiscali dei quali deboli vassalli e città ribelli hanno fatto scempio. Così a Volterra Pandolfo della Fasanella si affaccenda a riprendere per la Camera imperiale dazi, miniere e saline2.

Ciò avviene fra il 1240 e il 1241: ma al Comune troppo è cara la dogana del sale e d’improvviso, mentre fino a questa epoca si è seguito un sistema accentratore e di diretta conduzione della dogana stessa, ora vengono annullati tutti i capitoli che si riferiscono alla dogana del sale e agli ufficiali doganali e si delibera di concludere l’affitto, o meglio vendere i frutti (è differenza formalistica, ma ha pur dovuto avere la sua importanza) della dogana del sale ad una privata Società. Ciò avviene nel 1236, tre o quattro anni appena prima dell’apparire delle pretese del Capitano generale Pandolfo quando già le rivendicazioni della Camera imperiale e il riordinamento finaziario era in atto in tutta la Toscana12.

Nel 1238 il contratto di cessione dei frutti alla Società composta da certi Bonfidenza q. Paltoneri, da Ugolino q. Ubaldini e Gualtiero q. Uberti, è stipulato13: il contratto dovrà essere introdotto, e lo è, nel sacramentum populi e i capitoli ad esso relativi non potranno essere cancellati dallo statuto14.

Ci è ignoto il canone di affitto: sembra però che il contratto, del quale ci resta con un riflesso negli statuti, sia alquanto ambiguo, se nel 1250 il Comune dispone a suo beneplacito di vendite di sale a quei di Montevoltraio a prezzo uguale a quello fatto ai volterrani, sancisce che summa XXX modicorum salis proximo futuro tempore danda ex forma huius capituli non computetur in summa MM modicorum salis quos habere debent Magaloctus Grechi et eius soci ex emptione modo facta a sindico societatis doane15. Ma giusto il 1250 muore Federico II e l’idea imperiale e ghibellina si frantuma: se ancora la casa sveva può tener deste illusioni politiche, in materia finanziaria l’impresa è fallita. Manfredi e Corradino possono aver creato un generoso impeto di resistenza, ma non proprio davvero aver rinsaldato i già lenti vincoli della finanza imperiale.

E dal 1250 in poi il regime di affitto della dogana scompare; i capitoli che fissano tale regime appaiono cancellati nei codici: il capitolo ora richiamato circa la vendita del sale agli uomini di Montevoltraio è pure cancellato e sostituito con questa semplice nota marginale: teneatur potestas facere dari et vendi salem hominibus de Vult. et de illa summa qua coquitur pro dando fominibus de Vult., cioè si tien fermo il patto con gli uomini di Montevoltraio, ma non si fa più menzione di compagnie cessionarie dei redditi della dogana del sale.

Fu proprio la cessione della dogana a compagine di privati un mezzo per ostacolare la rivendicazione dei diritti regalistici alla Camera imperiale? Certo il fisco dell’impero ebbe tale pretesa e i Volterrani ottennero in via di appello all’Imperatore che l’affare restasse sospeso o abbandonato16. Motivi politici e coincidenza di date fanno sorgere l’idea che la cessione della dogana ai privati sia stato un mezzo per gettare una trave sulla strada che la finanza imperiale intendeva percorrere. Ciò è tanto più verosimile, in quanto fino a tutto il 1300, non si trova esempio di simili cessioni.

Si trova al più un impegno dei cespiti della dogana per qualche servizio finanziario del Comune17. Se, dunque, si tiene conto dello slancio iniziale con cui il Comune organizzò la prima dogana al sorgere del 1200 e della perseveranza con la quale la fece rivivere e la riorganizzò dal 1250 in poi, l’episodio dell’affitto ai privati, episodio che coincide con il periodo di restaurazione imperiale, sembra dover essere prospettato come un mezzo e nulla più per ritardar la confisca. Nessun altro motivo plausibile appare per un fatto così grave nella finanza Comunale.

E’ questa una mera ipotesi e come tale la presento al benevolo lettore: altri più valido voglia completamente chiarire questo colpo di scena della storia finanziaria medioevale di Volterra.


MONOPOLIO CITTADINO

Dal 1250 in poi la dogana del sale sembra sempre più accentrata nella mani del Comune18. Il breve cenno che più sotto daremo circa l’organizzazione amministrativa della dogana è una chiara prova di ciò. Intanto si nota che nel 1300 non si fa più cenno di liti col Vescovo o di sue pretese e che la produzione salina ci si presenta in un assoluto regime di monopolio19.

Questo è appunto il lato interessante della storia finanziaria Volterrana per ciò che riguarda il sale: il mantenersi, cioè, di un regime che attraverso due secoli (XIII e XIV) tende direttamente al monopolio e in monopolio si organizza attraverso mille insidie e mille difficoltà. Certo a Volterra non soltanto il sale costituisce regalia monopolistica: a Pisa, per esempio, le saline di Cagliari danno una buona risorsa alle finanze Comunali, tanto che i loro redditi vengono impegnati in momenti di bisogno.

Anche Venezia ed altri stati conobbero fin da remote epoche il monopolio del sale; ma è caratteristico che, mentre altrove il sale viene considerato come una qualsiasi merce e se ne facilita anche il commercio, a Volterra, fin dal 1200 ed anche prima, appaia come monopolio del Vescovo o del Comune20. E non importa che al prezzo di monopolio venga talora aggiunta una tassa21: le cose restano lo stesso, ossia il sale resta in regime di monopolio: monopolio da prima limitato al sale minuto, perchè il sal grosso (i grossos e le pignas) viene escluso dal severo regime monopolistico ed anzi sembra da principio che esso sia tenuto in sì poco conto da essere lasciato ai cuocitori22.

Ma in progresso di tempo si fa giurare ai cittadini e ai comitatini di portare anche il sal grosso alla dogana del Comune23. Nel 1300 anche il sal grosso è organizzato in perfetto regime monopolistico. Quanto al sale minuto, ossia al sale fine, si usavano da prima certi limiti di tolleranza per i cuocitori e moiatori, che potevano trattenerne una piccola quantità a moggio: ma anche questa tolleranza sparì nel secolo XIV.

A fiancheggiare le norme statuarie direttamente interessanti la dogana del sale, il Comune non manca di stabilire sanzioni e facilitazioni per attirare i foresi all’acquisto del minerale prezioso alla sua dogana; divieto di pignorare somme o cosa alcuna, bestie da soma comprese, di chi viene ad acquistare il sale alla dogana del Comune24; pene per chi viola tale immunità: divieto di acquistare sale direttamente alle caldaie ed alle moie, e obbligo di fare ogni acquisto alla dogana25; pene contro chi porta il sale fuori Volterra come privato, salvo il caso (sembra almeno ciò essere stato lecito verso il 1265) che il sale sia portato a Firenze o districtus26.

Invece a Siena, ormai nella seconda metà del secolo XIII, il regime del sale non ha una impronta fiscale sua propria e viene venduto nella dogana comunale con l’olio e con i pesci, tanto per percepire una tassa e disciplinare la vendita27. A colpo d’occhio si vede la verità da noi in principio affermata, che le leggi, ed ancor più gli ordinamenti finanziari, vengono ai legislatori ed ai popoli ispirati dal terriorio nel quale esse debbono aver vigore28. Così la cura che l’interesse finanziario del Comune richiede per ben disciplinare il commercio e il monopolio del sale, dà luogo a un perfetto ordinamento amministrativo della dogana da un lato, ed a una suddivisione dei vari tipi di produzione salina dall’altro. E’ quanto vedremo al termine di questa breve indagine.

> Scopri, L’organizzazione delle prime dogane del Sale

© Accademia dei Sepolti, TITO CANGINI
Dogana e camerari a Volterra nel XIII e XIV Sec., in “Rassegna Volterra”, n.1
1 SCHNEIDER F. Bistum und Geldwirtsehaft – Zur Geschichte Volterras im Mittelalter. Rom, Loescher, 1905, parte I. pag 8, 9.
2 SCHNEIDER, op. cit., p. 9. Le saline sono ricordate come moie regie fin dal 974: vedi REPETTI. Dizionario Geografico fisico storico della Toscana, supplemento. voce: moie: SCHNEIDER F., Regestum Volaterranum. n. 55.
3 Ivi: “Mittelpunkt des toskanischen salzasaudes“.
4 SCHNEIDER, Bistum, I. p. 30. Il Vescovo impegna ciò che resta della dogana del sale. Vedi: VOLPE G., Volterra, Firenze, Sov. editrice “La Voce”, 1923, pag. 55 e 74 e n. 67; SCHNEIDER, Regestum Volat, n. 322 e 679.
5 SCHNEIDER, Bistum, p. 9; VOLPE, op. cit., p. 42-44.
6 Nel più antico statuto Volterrano, quello frammentario del Cod, G 3. La dogana del sale non è stabile istituzione e appare come un semplice episodio finanziario della vita Comunale: Consoli e Potestà la stabiliranno se così parrà ai supremi organi deliberanti del Comune. Vedi Archivio Comunale Volterra, cod. G 3, e 28 v. rubr.: ut consules vel potestas debeant reficere (sic) douanam.
7 VOLPE, op. cit., p. 33. “Ma fra il 1203 e il 1204 approfittando, come io credo, dell’assenza del loro Vescovo che era tutto affaccendato con le cose della lega e con le discordie Siena-Firenze, i volterrani assaltano il Castello di Pomarance e se ne impadroniscono. Il suo distretto era ricco di acque salse nel sottosuolo e costituiva il centro della produzione del sale nel territorio di Volterra, a beneficio del Vescovo e delle famiglie contadine che ivi possedevano e sfruttavano le moie”.
8 Arch. Com Volt. Statuti Volterrani. Cod. G 2, c. 49. De Cassilio petendo pro doana. Uguale in 6 4 rubr. 100. Vedi anche VOLPE, op. cit., p. 102 e note 155 e 156.
9 Le dispute fra Vescovo e Comune occupano quasi tutto il XIII secolo e mostrano quali ostacoli il comune ebbe a superare per consolidare il suo monopolio. Per le prime questioni circa il 1214 vedi SCHNEIDER, Reg. Volat n. 319, 320, 488. Per un accordo col Vescovo nel 1253 vedi VOLPE, op. cit., p. 141. Non soltanto contro il Vescovo il Comune ebbe a sostenere vive lotte: i disegni dei Fiorentini sono fatti palesi dal progetto di accomodamento da essi inviato al Vescovo di Volterra fra il 1255 e il 1260, progetto che avrebbe sostituito Firenze al Vescovo nella metà della dogana del sale; vedi VOLPE, op. cit., p. 147-148. SCHNEIDER, Reg. Volat. p. 712. Lo stesso: Bistum, p. II. p. 35. L’accordo definitivo fra Vescovo e Fiorentini sarebbe avvenuto circa il 1284. (VOLPE, op. cit., p. 174). Anche con Guido di Montfort il Comune ebbe a sostenere una lite per le polle di Montegemoli: v. SCHNEIDER. Reg. Volat. 924 e 931, CECINA, Notizie Istoriche, Volterra, Sborgi, 1900, p. 49.
10 Arch. Com. Volt. Statuti. Cod. G 4, rubr. 220. G 7-II, rubr. 6, G V. c. 13 – G 9, II, r. 5, G 10, r. 51, de acqua salsa moiarum.
11 VOLPE, op. cit., p. 141. Arch. Com. Volt., Cod. G 4, rubr. 237: ut non sit camerarius doane qui fuit: si legge la seguente frase: “et camerarius domini Episcopi che doana debeat facere illud idem juramentum quod Camerarius Communis doane salis faciet et ad illud breve”. Ciò rivela che anche il Vescovo aveva, circa il 1227, un suo rappresentante nella dogana: e non poteva essere altrimenti, dato il regime di comunione esistente fra Vescovo e Comune per la percezione dei frutti della dogana. Ricerche da me fatte, sia pure affrettatamente, nell’Archivio della Mensa Vescovile, non mi hanno rivelato alcun documento attinente alla organizzazione finanziaria della regalia del sale nel Vescovado. Forse il Vescovo non aveva più motivo ormai di tenere un dicastero come oggi si direbbe, del sale, dato che il Comune e i creditori insoddisfatti gestivano l’azienda e che un semplice rappresentante bastava; rappresentante che doveva contar ben poco se era ridotto a giurare il breve presentatogli dal Comune.
12 VOLPE, op. cit., p. 125 e nota 195. In questa nota è accennato un episodio di viva resistenza dei Volterrani alle rivendicazioni imperiali e cioè la rottura delle caldaie delle moie di Zollena.
13 Arch. Com. Volt. de contractibus fructuum  aquarum salsarum observandis in codice G 4 bis c. 270 KAL. JANUARI, 1236. Riappare a c. 42 in cod G 8, ma cancellato (circa il 1252).
14 Arch. Com. Volt., cod. G 4 bis c. 271. KAL. JANUARI, 1238: rubr. de venditione fructum salsarum. Riappare con la stessa data a c. 12 in g 8, ma cancellato (circa il 1252).
15 Vedi Cod. g 4 bis, sacramentum populi Vult., juro firmamet ratam habere venditionem fructuum et juris aquarum salsarum de mois factam Bonafidanza q. Paltoneri et Ugolino Ubaldini Gualtiero q. Uberti pro se et aliis ementibus dictos fructus., etc. (Arch. Com. Volt.). Di fronte al nuovo Cesare restauratore, grandi vassalli e mercani cittadini trovano forse uniti in una comune difesa. In Cod. G 8 c. 49 v. è cancellato tutto ciò che riguarda la società cessionaria della dogana e la vendita dei frutti.
16 Vedi Cod. G 8 rubr. 200 c. 51. Assai interessante perchè potrebbe fornire un’idea della produzione salina delle moie Volterrane a metà del secolo XIII; ma occorrerebbe conoscere l’equivalente esatto del moggio medioevale Volterrano e procedere ad accurate ricerche sul peso commerciale del sale fino e del sale grosso. Se ciò potesse venire accertato, si potrebbe facilmente stabilire quanto sale producevano le antiche saline. Si potrebbe inoltre avere una buona guida per seguire il movimento demografico.
17 Vedi SCHNEIDER, Bistum, p. 17: “Wie er (Pandolfo) im 1242 auch die Salinen von Volterra deren sich bemachtigt hatte ciuzog etc.” e in nota: “Durch appell au den Kaiser erreichte das Kommune schliestlich dass die Euquete uber diese Art Regal fallen gelassen wurde” vedi anche regest. Volat., n. 605 e 605 a.
18 Così nella prima metà del secolo XIV si impegnano le rendite della dogana per rifondere la Comunità di Pomarance dei tributi che usa dovette anticipare al tesoro Volterrano. Vedi Cod. G 16-III, r. 159, che solvendo florinos personarum de Ripomarance Communi eiusdem loci etc. Così circa la stessa epoca (1337) i frutti della dogana del sale, insieme ad altri redditi, vengono destinati a sostenere gli oneri per l’acquisto della terra Vescovile di Montecastelli. Vedi detto codice III r. 173, de modo tenendo in permutatione facienda cum domino episcopa pro Communi Vult. de possessionibus emptis et emendis de pecunia dicti Communis occasione terre Montiscastelli. Così circa il 1347 i redditi del sale con quelli balneorum, sulphuris et aluminis servono a particolari spese comunali (cod. G 16, aggiunte negli statutari), v. 383. Le rendite della dogana servono inoltre a pagare gli stipendi degli ufficiali della dogana e del Podestà e del Capitano (ivi rubr. unde solvatur etc. c. 408) e alle spese ordinarie di dogana (ivi c. 442 de modo et ordine solvendi pecuniams per doanenenses, anno 1377). Infine a luoghi pii viene fatta somministrazione gratuita di sale (ivi), (Arch. Com. Volt.). Alla stessa guisa Pisa impegna circa il 1279 i diritti sulle saline di Cagliari per ottenere un mutuo di 3000 marche d’argento e introduce nel giuramento del popolo l’obbligo di osservare l’impegno (vedi Statuti Pisani, editi da Donaini libr. II, rubr. 6, de venditione doane salis e rubr. 80 del breve pisani populi et compagniarum). Per l’acquisto di Montecastelli, vedi VOLPE, op. cit., p. 186, vedi anche GIACHI, Saggio di ricerche storiche, II edizione. Sborgi, 1887 p. 72.
19 Nel 1321 perfino la terra di Berignone, già roccaforte dei Vescovi e loro rifugio nei tempi procellosi, si impegna ad acquistare il sale alla dogana del Comune. VOLPE, op. cit., p. 199.
20 Se nel 1282 il Vescovo Ranieri riceve a S. Miniato dal legato imperiale Rodolfo conferma di tutte le giurisdizioni e regalie, poco importa: ormai i fatti sono più forti delle concessioni imperiali e poi la conferma è fatta per le terre e rendite que tamen ab ipso Episcopo cel predecessoribus alienata non essent. E ben si sa che a quest’epoca il baratro finanziario del Vescovato era aperto, (vedi VOLPE, op. cit., p. 171).
21 A Pisa esisteva una vera e propria dogana del sale e nel 1393 si ha notizia di un gubernator gabelle salis et salinarum Comunis Florentie che a Volterra rappresenta i Fiorentini per ricevere il sale dalla dogana Volterrana. Venezia imponeva nei trattati alle altre città di non acquistare il sale che dà lei. (vedi PERTILE, Storia del Diritto Italiano, Padova, 1880, Vol II. parte I. p. 443, nota 30).
22 Vedi PERTILE, op. cit., p. 444-445. Così a Volterra si impose un dazio sul sale nella prima metà del secolo XIV per provvedere alle spese necessarie per restaurare le strade. La esazione era affidata ad un esattore che con i denari raccolti doveva provvedere ai necessari lavori: ad ogni via era preposto una specie di capo-mastro. XII populi debeant… imponere salem ad rationem unius medalie per libram et facere recolligi et reponi denarios apud quemdam bonum et legalem hominem de Vult. Sembra che gli esattori del dazio fossero pagati ad aggio (vedi cod. G 16-III. r. 66, di faciendo impositam salis annuatim causa actandi vias publicas iuxta civitatem Vult.) e detto codice V. rubrica de salario datiarioli. Arch. Com. Volt.). Si tratta però in sostanza di aumenti temporanei di prezzo. Ad una imposta eventuale sul sale accennano anche gli Ordinamenti della dogana del sale di Pisa del 1339. (BONAINI, Statuti cit., Vol. II, p. 1257 e seg.).
23 Possint namque pro qualibet caldaria coquitores salis retinere sibi VI sturios per totum tempus ipsius teniture et grossos et pignas et plus ad voluntatem camerariorum doane salis sine frande etc. (Cod. G 2, rubr. de doana salis. Arch. Com. Volt.).
24 Vedi Sacramentum populi, in cod. G 4-II, r. 232; de deveto servando, cod. G 2, c. 52. Sacramentum populi Vult., cod. G 4 bis r. 286; G 7-II, r. 198; G 10-11, r. 181; cod. G 16, c. 348 de sale grosso non portando (dell’anno 1345). Alla fine del secolo XIII e all’inizio del XIV viene istituita la sezione doganale pel sale grosso: salis grossi in castro populi Vult. pro Comuni Vult. La dogana del sale grosso si stabilisce ad hoc ut lucrum et utilitas que ex sale grosso consequuntur forenses deveniat ad Comunem Vult. Vedi anche G 16 ivi rubr. 166. (Arch. Com. Volt.). Nei testi ora ricordati si nota la lenta evoluzione che va da un imperfetto monopolio del sale fino (sal minuto), al monopolio completo di ogni specie di sale: nei più antichi sacramenta il popolo giura soltanto di salvare doanam salis; poi, con una norma sussidiaria, si stabilisce anche l’obbligo di portare il sale grosso alla dogana e si vieta il trasporto di esso fuori di Volterra; infine si stabilisce una vera e propria dogana per il sale grosso.
25 Cod. G 2, G 4, G 4 bis. G 7, G 8, G 9, G 10 – vr. 7, rubr.: de pretio salis non intensiendo. (Arch. Com. Volt.).
26 Cod. G 7; G 9-IX r. 14, de sale emendo (Arch. Com. Volt.).
27 Cod. G 10-IX-14 de sale emendo. (Arch. Com. Volt.). In questo punto vedi anche GIACHI, op. cit., p. 76.
28 Vedi ZDEKAUER, Statuti Senesi (1262) dist. I, rubr. 444.