Questo modestissimo studio non ha davvero la pretesa di dare una fedele immagine della economia medievale volterrana nei riguardi della regalia e del commercio del sale e tanto meno di portare un contributo agli studi sulla finanza del medioevo. Si tratta soltanto di brevi e affrettate note di archivio, male insieme collegate. Se qualche studioso potrà trovare una notizia interessante o un’ipotesi accettabile in questo minuscolo scritto e se vorrà svilupparla sino a portare davvero un contributo alla storia della finanza medioevale Toscana, lo scopo che l’autore si propone sarà pienamente raggiunto.
1. – Ogni ordinamento economico politico e, di riflesso, ogni ordinamento giuridico, risente in notevole misura l’influenza del territorio nel quale esso germoglia e si sviluppa. Altri fattori (etnici, culturali e anche meramente psichici) influiscono sulla economia e sulla legislazione: ma non è ora il caso di occuparci di essi.
Il territorio di Volterra che nel medioevo era in prevalenza boscoso, aveva grandi ricchezze minerali: solfo, allume, sale e sopratutto, nei primi tempi, l’argento delle miniere di Montieri, fonte di ricchezza del Vescovo-Conte. Questo tipo di economia mineraria della vecchia Volterra ebbe certamente influenza notevole sul sorgere del Comune, sulle lotte che questi impegnò col Signore, sullo svolgersi della legislazione statutaria, la quale presenta notevoli e interessanti peculiarità. Il Comune non fu che l’erede del patrimonio e dei privilegi dei Vescovi e, se si pensa quale ampio e ricco territorio abbracciava il vescovado volterrano, non meraviglia che su questo territorio convergano insieme e le vecchie pretese Vescovili, fondate sui privilegi imperiali, e la dinamica forza di espansione del Comune e le insidie dei Comuni vicini: soprattutto Siena e Firenze; la prima riesce per via di pegni a impossessarsi delle argenterie di Montieri, la seconda, per via di crediti e per mezzo di armi, a porre ben presto Volterra sotto la sua egemonia.
Fra le ricchezze minerarie volterrane, le saline hanno sempre occupato un posto importante. Le più antiche saline volterrane furono a Vada, ma si impantanarono nel secolo XII, mentre erano già sotto il dominio di Pisa1. Acquistarono invece importanza le saline del terriorio di Volterra, poste negli odierni mandamenti di Volterra e Pomarance, che sono ricordate come fiscali fin dal 972: le sorgenti di saline furono soggette a imposta e il Vescovo la percepì fin da quando ebbe poteri comitali2. L’importanza che il sale ha nella alimentazione, la piccola quantità di esso che occorre per l’uso comune, la facilità di sorvegliarne e disciplinarne il commercio hanno fatto sì che sino da tempi remoti il sale sia stato oggetto di regalia, sotto svariatissime forme peraltro. A Volterra esso da prima sembra far parte di una regalia Vescovile e sembra essere cespite importante delle rendite del Vescovo-Conte.
2. – Come si formò il patrimonio del Vescovo? Allorchè il Vescovo ebbe, per successivi diplomi, i privilegi del conte fino a quello massimo di batter moneta, già si era formata la base economica del suo potere. Vendite, donazioni, precarie, forme giuridiche varie accentrarono nella mano del signore gran parte del patrimonio del futuro Comune, e con esso anche diritti regalistici: i privilegi imperiali segnano più uno stato di fatto già esistente che una futura conquista; anzi essi indicano un sorgere di nuove pretese da parte di nuove forze che sboccano giusto in questo tempo nel Comune.
Non è perciò strano che il Vescovo si trovi, sul finire del 1100, signore del territorio volterrano e investito dei diritti regalistici delle saline. Diritti importanti, se davvero Volterra fu il punto centrale del commercio del sale in Toscana3 e se le saline appaiono pegni preziosi, insieme alle argenterie, nel sempre più grave indebitamento del Vescovo4. In questo periodo di potenza del Vescovo-Conte e di timido sorgere del Comune, sembra che il Vescovo percepisse un dazio sul sale che doveva essere raccolto, per applicare l’imposta, in un magazzino (dogana), mentre le sorgenti salse (moie) e la fabbricazione e commercio del sale restavano liberi sotto la vigilanza degli agenti del Vescovo5. Il Comune tenta di sostituirsi e di avocare a sè le ricche rendite.6
3. – Come il patrimonio Comunale sia venuto formandosi è anche oscuro. Sono anche qui giuramenti di uomini di castelli, vendite di parti indivise o divise di terre con i relativi diritti feudali, sottomissioni di nobili del Contado, che lentamente formano il potere territoriale del Comune sul Contado stesso. Sopratutto sono i debiti che signori ecclesiastici e laici contraggono coi cittadini e che portano con se il pegno dei diritti sulle terre delle campagne. Con la serie infinita dei giuramenti di sottomissione al Comune, devono essere caduti nelle mani di questo anche molti diritti sulle polle salse (moie), onde un primo titolo perchè il Comune possa rivaleggiare col Vescovo sulla dogana. Ma altre ragioni di indole politica (non occorre ricordare tutta l’evoluzione delle libertà comunali), e cioè il declinare della potenza Vescovile e il forte affermarsi del Comune hanno fatto si che, se non di fatto per lo meno in linea di diritto, il Comune potesse, fin dai primi del sec. XIII, affermare la sua preminenza sul commercio del sale, istituendo una propria dogana.
4. – Dogana che, di fronte al Vescovo ancora possessore di molte polle salse e ancora ricco, deve essersi arrestata da principio un po’… sulla carta. Il Comune deve, cioè, avere avuto una parte non assoluta, come l’ebbe di poi, nel commercio del sale e nella percezione dei dazi.
Ma i fatti si accanivano contro i poteri temporali del Vescovo e dove non poteva la ragione, poteva la forza. Così, fra il 1203 d il 1204, i Volterrani assaltano Pomarance, terra ricca di acque salse7 e si impossessano del Castello. Di qui la lite fra il Vescovo e i Volterrani, lite che termina con un patto di accomodamento fra Vescovo e Comune, secondo il quale i Volterrani restituiscono il Castello, ma sono immuni da ogni dazio o accatto, e, cioè, (questo per quel che ci interessa), il Vescovo perde la sua assoluta regalia sulle saline e l’acquista il Comune: illazione ben facile a trarsi, dati i moventi della disputa e il lodo che la definì.
Già a quest’epoca sembra stabilito un regime di accordo, fra Comune e Vescovo, per il sale: un accordo per il quale i redditi della dogana vanno divisi a metà. E’ ciò che accade anche per altre regalie, compresi i banni e le pene da riscuotersi nei castelli.
Si disputa solo della metà della dogana che il Comune vuole rivendicare a sè, non sappiamo per quali ragioni. E così si invia un allegato a Bologna a chiedere parere circa diritti Comunali sulla dogana8. Secondo l’esito del consiglio chiesto, e ove questo sia favorevole, dovrà il Potestà far valere e realizzare i diritti del Comune. Ci è ignoto il responso dei giureconsulti Bolognesi. Certo non deve essere stato avverso se dopo il 1227 sempre più vitale troviamo l’organizzazione doganale salina del Comune9.
Tanto forte era il Comune che i privati possessori di moie non potevano alienarle a terzi acquirenti senza prima avere sentito e interpellato il Potestà e consoli, i quali avevano diritto di prelazioni per l’acquisto entro il termine di otto giorni; ove la prelazione non fosse stata esercitata dal Comune il proprietario poteva vendere ad altri, ma sempre a cittadini di Volterra. In seguito, oltre i foresi, saranno eccettuati dalla facoltà di acquisto anche i chierici, gente sospetta, in questioni di regalie, di fronte al Comune; il venditore sarà inoltre obbligato a far denuncia del nome del compratore. Tali capitoli poi dovevano entrare nel sacramentum populi. Infine si stabilirà una vera e propria espropriazione delle moie, in quanto che il Comune non avrà più soltanto prelazione negli acquisti delle acque salse, ma sarà l’unico legale acquirente: siamo ormai al monopolio e la evoluzione si segue con cristallina chiarezza negli statuti volterrani dal 1227 al 126510. Ma, come sempre avviene nei fatti umani, non diritta e senza deviazioni è la strada: ritorni indietro, ci sono e non mancano tentativi da parte dei Vescovi di rinvigorire l’ormai arido albero del loro temporale potere; tuttavia la dogana del sale, cara amorosa dei magistrati volterrani, sempre più si consolida fino a che, al declinare del 1200, diventa vero e proprio monopolio Comunale.
Notevole in questo periodo di transizione è la politica finanziaria che il Comune tiene col Vescovo; politica ora aggressiva ed ora conciliante: al Vescovo viene riconosciuto il diritto di tenere un suo rappresentante nella dogana, per la salvaguardia della sua parte di diritti, ma in subordine ai camerari del Comune; così anche a lui viene riconosciuto di poter interloquire per la nomina dei rettori di certi castelli11. Mentre il Vescovo nelle sue pretese si attacca ai suoi antichi privilegi, il Comune attua i suoi programmi in materia finanziaria di fronte al Vescovo stesso e li maschera con la consueta protesta di agire secondo il suo stretto diritto. La verità è che il più forte è il Comune. Più forte nella finanza come è più forte nella politica e nelle armi.
Il Vescovo, stretto fra l’incalzare delle conquiste comunali, guelfe o ghibelline poco importa, e fra le pretese di creditori insoddisfatti e le richieste della Camera imperiale, non è un avversario invincibile.
5. – Ma a un certo momento il caos regalistico della finanza in Toscana (caos sorto dalle pretese dei Comuni e dalla debolezza dei Signori) sembra doversi chiarire e sembra che un grave pericolo minacci e le pretese dei borghesi e i privilegi dei conti: i primi avevano, a dispetto delle leggi sull’inalienabilità del feudo, acquistato insieme terre e regalie, ed i secondi avevano permesso ciò ed erano morosi per i tributi feudali di fronte alla Camera imperiale. Federico II rianima l’idea imperiale e coi suoi messi cerca di rivendicare i diritti fiscali dei quali deboli vassalli e città ribelli hanno fatto scempio. Così a Volterra Pandolfo della Fasanella si affaccenda a riprendere per la Camera imperiale dazi, miniere e saline2. Ciò avviene fra il 1240 e il 1241: ma al Comune troppo è cara la dogana del sale e d’improvviso, mentre fino a questa epoca si è seguito un sistema accentratore e di diretta conduzione della dogana stessa, ora vengono annullati tutti i capitoli che si riferiscono alla dogana del sale e agli ufficiali doganali e si delibera di concludere l’affitto, o meglio vendere i frutti (è differenza formalistica, ma ha pur dovuto avere la sua importanza) della dogana del sale ad una privata Società. Ciò avviene nel 1236, tre o quattro anni appena prima dell’apparire delle pretese del Capitano generale Pandolfo quando già le rivendicazioni della Camera imperiale e il riordinamento finaziario era in atto in tutta la Toscana12. Nel 1238 il contratto di cessione dei frutti alla Società composta da certi Bonfidenza q. Paltoneri, da Ugolino q. Ubaldini e Gualtiero q. Uberti, è stipulato13: il contratto dovrà essere introdotto, e lo è, nel sacramentum populi e i capitoli ad esso relativi non potranno essere cancellati dallo statuto14. Ci è ignoto il canone di affitto: sembra però che il contratto, del quale ci resta con un riflesso negli statuti, sia alquanto ambiguo, se nel 1250 il Comune dispone a suo beneplacito di vendite di sale a quei di Montevoltraio a prezzo uguale a quello fatto ai volterrani, sancisce che summa XXX modicorum salis proximo futuro tempore danda ex forma huius capituli non computetur in summa MM modicorum salis quos habere debent Magaloctus Grechi et eius soci ex emptione modo facta a sindico societatis doane15. Ma giusto il 1250 muore Federico II e l’idea imperiale e ghibellina si frantuma: se ancora la casa sveva può tener deste illusioni politiche, in materia finanziaria l’impresa è fallita. Manfredi e Corradino possono aver creato un generoso impeto di resistenza, ma non proprio davvero aver rinsaldato i già lenti vincoli della finanza imperiale. E dal 1250 in poi il regime di affitto della dogana scompare; i capitoli che fissano tale regime appaiono cancellati nei codici: il capitolo ora richiamato circa la vendita del sale agli uomini di Montevoltraio è pure cancellato e sostituito con questa semplice nota marginale: teneatur potestas facere dari et vendi salem hominibus de Vult. et de illa summa qua coquitur pro dando fominibus de Vult., cioè si tien fermo il patto con gli uomini di Montevoltraio, ma non si fa più menzione di compagnie cessionarie dei redditi della dogana del sale.
Fu proprio la cessione della dogana a compagine di privati un mezzo per ostacolare la rivendicazione dei diritti regalistici alla Camera imperiale? Certo il fisco dell’impero ebbe tale pretesa e i Volterrani ottennero in via di appello all’Imperatore che l’affare restasse sospeso o abbandonato16. Motivi politici e coincidenza di date fanno sorgere l’idea che la cessione della dogana ai privati sia stato un mezzo per gettare una trave sulla strada che la finanza imperiale intendeva percorrere. Ciò è tanto più verosimile, in quanto fino a tutto il 1300, non si trova esempio di simili cessioni. Si trova al più un impegno dei cespiti della dogana per qualche servizio finanziario del Comune17. Se, dunque, si tiene conto dello slancio iniziale con cui il Comune organizzò la prima dogana al sorgere del 1200 e della perseveranza con la quale la fece rivivere e la riorganizzò dal 1250 in poi, l’episodio dell’affitto ai privati, episodio che coincide con il periodo di restaurazione imperiale, sembra dover essere prospettato come un mezzo e nulla più per ritardar la confisca. Nessun altro motivo plausibile appare per un fatto così grave nella finanza Comunale.
E’ questa una mera ipotesi e come tale la presento al benevolo lettore: altri più valido voglia completamente chiarire questo colpo di scena della storia finanziaria medioevale di Volterra.
6. – Dal 1250 in poi la dogana del sale sembra sempre più accentrata nella mani del Comune18. Il breve cenno che più sotto daremo circa l’organizzazione amministrativa della dogana è una chiara prova di ciò. Intanto si nota che nel 1300 non si fa più cenno di liti col Vescovo o di sue pretese e che la produzione salina ci si presenta in un assoluto regime di monopolio19.
Questo è appunto il lato interessante della storia finanziaria Volterrana per ciò che riguarda il sale: il mantenersi, cioè, di un regime che attraverso due secoli (XIII e XIV) tende direttamente al monopolio e in monopolio si organizza attraverso mille insidie e mille difficoltà. Certo a Volterra non soltanto il sale costituisce regalia monopolistica: a Pisa, per esempio, le saline di Cagliari danno una buona risorsa alle finanze Comunali, tanto che i loro redditi vengono impegnati in momenti di bisogno. Anche Venezia ed altri stati conobbero fin da remote epoche il monopolio del sale; ma è caratteristico che, mentre altrove il sale viene considerato come una qualsiasi merce e se ne facilita anche il commercio, a Volterra, fin dal 1200 ed anche prima, appaia come monopolio del Vescovo o del Comune20. E non importa che al prezzo di monopolio venga talora aggiunta una tassa21: le cose restano lo stesso, ossia il sale resta in regime di monopolio: monopolio da prima limitato al sale minuto, perchè il sal grosso (i grossos e le pignas) viene escluso dal severo regime monopolistico ed anzi sembra da principio che esso sia tenuto in sì poco conto da essere lasciato ai cuocitori22.
Ma in progresso di tempo si fa giurare ai cittadini e ai comitatini di portare anche il sal grosso alla dogana del Comune23. Nel 1300 anche il sal grosso è organizzato in perfetto regime monopolistico. Quanto al sale minuto, ossia al sale fine, si usavano da prima certi limiti di tolleranza per i cuocitori e moiatori, che potevano trattenerne una piccola quantità a moggio: ma anche questa tolleranza sparì nel secolo XIV.
A fiancheggiare le norme statuarie direttamente interessanti la dogana del sale, il Comune non manca di stabilire sanzioni e facilitazioni per attirare i foresi all’acquisto del minerale prezioso alla sua dogana; divieto di pignorare somme o cosa alcuna, bestie da soma comprese, di chi viene ad acquistare il sale alla dogana del Comune24; pene per chi viola tale immunità: divieto di acquistare sale direttamente alle caldaie ed alle moie, e obbligo di fare ogni acquisto alla dogana25; pene contro chi porta il sale fuori Volterra come privato, salvo il caso (sembra almeno ciò essere stato lecito verso il 1265) che il sale sia portato a Firenze o districtus26.
Invece a Siena, ormai nella seconda metà del secolo XIII, il regime del sale non ha una impronta fiscale sua propria e viene venduto nella dogana comunale con l’olio e con i pesci, tanto per percepire una tassa e disciplinare la vendita27. A colpo d’occhio si vede la verità da noi in principio affermata, che le leggi, ed ancor più gli ordinamenti finanziari, vengono ai legislatori ed ai popoli ispirati dal terriorio nel quale esse debbono aver vigore28. Così la cura che l’interesse finanziario del Comune richiede per ben disciplinare il commercio e il monopolio del sale, dà luogo a un perfetto ordinamento amministrativo della dogana da un lato, ed a una suddivisione dei vari tipi di produzione salina dall’altro. E’ quanto vedremo al termina di questa breve indagine.
Data così una sommaria notizia della dogana del sale, daremo ora un cenno del modo nel quale tale dogana fu organizzata.
1. – Pochi anni dopo che il Comune si è impossessato di buona parte delle moie ed ha istituito la dogana per la vendita del sale, apparisce nello statuto cittadino il sacramentum camerari doane salis. Sacramentum che riportiamo in appendice. La cosa è importante perchè i sacramenta raccolti nello statuto sono quelli degli alti magistrati Comunali, o del popolo, o di signori del contado che si sottomettono: gli ufficiali minori, i subordinati non compaiono direttamente con tutta la pompa dei magistrati nelle disposizioni statuarie. Dunque il Camerario del sale, se non è un secondo ministro del tesoro e delle finanze, posto a latere del Camerario del Comune29, è pur sempre un alto magistrato messo a capo di una delle più importanti e forse della più importante azienda finanziaria comunale. Abbiamo detto Camerario, ma veramente avremmo dovuto dire Camerari, poichè fin da principio sembra che a capo della dogana siano stati posti due funzionari, i quali si sorvegliavano a vicenda. Però non è escluso il caso che talora il Camerario sia stato uno solo. Il Camerario giura di conservare tutto il sale che gli sarà consegnato, di procurare che tutto il sale che si produce nel vescovado Volterrano sia portato alla dogana del Comune, di custodire gelosamente i proventi delle vendite e darli ai due esattori eletti secondo forma di legge, di tenere esatta nota delle entrate ed uscite del sale in magazzino e darne conto all’altro collega Camerario, specie delle vendite: di tenere onesta ed esatta contabilità tanto per il Comune che nell’interesse di coloro che hanno diritto sulle moie e dei cuocitori, o meglio improvvisari della produzione; di fare un riassunto del quantitativo esistente in magazzino e notificarlo al Podestà o Consoli e di notificare pure a questi ogni singola vendita fatta da esso Camerario o dal suo collega; di tenere esatto conto delle spese e darne ragione al Podestà o Consoli; infine di ricevere gìuramento dal misuratore del sale addetto alla dogana di ben misurare e di dar conto delle misurazioni fatte all’altro Camerario che non fosse addetto alle misurazioni.
Già da questo primo ordinamento della Dogana, si rileva quali erano le funzioni del Camerario del sale. Si rileva anzitutto un impianto contabile ancora imperfetto, ma non addirittura embrionale. Quei resoconti fra i due camerari per l’entrata e uscita del sale, quel riassunto dell’ in essere del magazzino, da notificarsi al Podestà o ai Consoli, insieme alle vendite fatte; il conto consuntivo delle spese, pure da riferirsi ai supremi magistrati comunali, rispecchiano un impianto contabile di controlli, diciamo così, automatici che è veramente notevole. Non siamo ancora alla partita doppia, ma siamo già sulla buona strada.
Notevole anche che il Camerario del sale rappresenta nella dogana non i soli interessi comunali, ma anche quelli degli impresari della produzione e dei proprietari delle polle: gente che ha diritto a una parte dei frutti delle rendite. Si è già detto che anche il Vescovo è, almeno in teoria, tenuto a portare il sale alla dogana, salve le ragioni a lui spettanti, e che il Comune tollera un suo rappresentante, subordinato però ai camerari del sale.
Nella successiva redazione degli statuti compiuta circa il 1227 (cod. G 4) si aggiungono norme complementari di amministrazione: i denari della cassa della dogana devono essere riposti in un apposito segreto consegnato a custodia a uno dei due camerari del sale, il quale non doveva tenerne la chiave; obbligo di annotazione nei registri delle somme estratte dalla cassa della dogana: ove uno dei due camerari nominali sia impedito, ne farà la vece il mensurator salis, specie di controllore e indubbiamente il più alto funzionario doganale nel primo duecento, dopo i camerari. Questi non hanno una mera funzione di cassieri e magazzinieri: sono debitori di somme e non di specie verso il Comune e debbono provvedere con gli introiti della dogana alle spese per la produzione del sale, per compenso ai proprietari delle bolle e per l’ordinaria amministrazione.
Oltre a ciò ai camerari del sale è affidata una vigilanza e direzione tecnica e fiscale per la produzione (dovendo i cuocitori stare ai loro ordini circa il tempo e il modo di produrre il sale) e una facoltà di promuovere l’azione per le infrazioni30.
Ai camerari è vietato, come agli altri magistrati, d’essere rieletti nello stesso ufficio prima che sia decorso un determinato tempo; il divieto è esteso ai membri della famiglia dei camerari31: la nomina non può essere rifiutata33.
Però il Camerario del sale non è un assoluto e incontrollato padrone della dogana: il Podestà e anche i privati aventi diritti sulle moie hanno una diretta ispezione sulla cottura, sull’apertura e chiusura dei pozzi, ed essi ricevono il giuramento dei cuocitori o impresari (mentre, come abbiamo visto, il giuramento del mensurator è ricevuto dai camerari del sale34).
Non mancano infine norme per la garanzia della genuinità della misura, inquantochè lo staio per la misura del sale doveva essere sigillato col sigillo di mercanzia e un’altro identico staio, pure contrassegnato, doveva restare nella Camera del Comune35.
Questa organizzazione, non tanto primitiva, della dogana si compie fra i primi del 1200 e il 1236: anno nel quale si affaccia il nuovo ordinamento di locazione del monopolio salino del Comune.
2. – Con questo nuovo regime, scompare, come è naturale, ogni norma statutaria circa i camerari del sale. Non scompare certamente tutta l’organizzazione amministrativa faticosamente costruita in un terzo di secolo: ciò sarebbe assurdo. Essa viene invece sottoposta direttamente agli affittuari, alla società che sfrutta le moie. Così negli statuti viene cancellato il sacramentum dei camerari e del sale e viene cancellato tutto quanto si riferisce alla dogana comunale: ma si sostituiscono ai camerari gli acquirenti dei frutti e il popolo volterrano si trova egualmente di fronte a un monopolio36. Quale fu l’interno organamento della società esercente le moie non ci è dato conoscere; certo essa non può avere cambiato granché all’ordinamento municipale preesistente. Ciò è tanto vero che questo ordinamento riapparirà nei codici della seconda metà del 1200 con poche modificazioni; è tanto vero che nel 1250, come si è detto, il Comune può, in pieno regime di affitto, disporre di una notevole quantità di sale a suo talento per favorire il Castello di Montevoltraio, castello così prossimo a Volterra e pur cosi lontano da questa sul terreno politico; avanguardia ora del Vescovo poi dei fiorentini37.
Riappariscono poi i camerari e sono equiparati agli acquirenti di frutti per la polizia sulle moie e dogana e per la gestione di questa. Anzi a un certo momento sembra che i camerari riprendano un posto preminente di fronte agli acquirenti dei frutti. Però questo periodo di ritorno al regime comunale della dogana non è ben chiaramente delineato negli statuti38.
3. – Ristabilito il regime di diretta gestione della dogana, il Comune non rimette peraltro i camerari del sale nella loro antica dignità e il giuramento di essi non si ritrova negli statuti della seconda metà del 1200. Ben si comprende: il Comune volterrano costituisce ormai un’amministrazione completa, assai più complessa di quanto ai primi del 1200. I camerari del sale, consolidata la dogana, non sono più i ministri di un importante ramo della finanza municipale, ma gli incaricati, i direttori di un monopolio. Come tali non possono trovar posto accanto ai supremi magistrati del Comune, il Podestà, il Camerario del Comune, il Giudice, il Notaio generale e il nuovo magistrato, il Capitano del popolo. Ciò non significa che la loro importanza nella finanza comunale sia diminuita: significa soltanto che nella costituzione comunale vi è stata una evoluzione, un progresso che ha portato a distinguere anche nella forma i capi politici del Comune dai direttori di aziende tecniche.
Ma che la cura del Comune per la dogana continui è dimostrato da nuovi provvedimenti. Al Podestà spetta ricevere il giuramento dei camerari e questi, sono gli ispettori della produzione del sale. Il loro giuramento fa prova legale per l’accertamento delle infrazioni denunciate. I camerari sono i domini dell’azienda comunale del sale, tanto che essi sono equiparati ai cessionari dell’azienda stessa, agli acquirenti dei frutti39.
Nell’ultimo codice del 1200, il G 10, è stabilito che i camerari siano due e che abbiano un notaio. Stipendio mensile dei camerari, venti soldi per ciascuno e stipendio eguale per il loro notaio.
Si tenga ben presente che queste non sono che aggiunte alla primitiva organizzazione della dogana che deve essere stata continuata attraverso le vicende del sec. XIII e che perciò si fonda sempre sul sacramentum camerari doane salis dato in appendice.
4. – Nel secolo XIV l’amministrazione del monopolio del sale a Volterra raggiunge la perfezione. Anzitutto si accentua sempre di più il carattere di semplice funzionario del Comune per il Camerario, d’ora innanzi chiamato doganese. Il doganese, come gli altri ufficiali a lui subordinati, giura nelle mani del Podestà e ciò già fino dalla seconda metà del 1200. Al doganese non viene affidato alcun incarico che esorbiti dai limiti e dagli scopi della sua amministrazione: solo una volta, circa il 1347, troviamo che al doganese del sale è affidata la custodia di una delle chiavi dello scrigno ove si conserva il portafoglio contenente i nomi degli eletti alla custodia delle torri e fortezze40. Per contro l’alta direzione delle vendite è ormai nelle mani dei XII del popolo agli ordini dei quali devono obbedire i camerari41. Ancora: i massari, magistrati che rappresentano il demanio comunale, hanno ingerenza per conservare i diritti del Comune sulle moie e hanno un potere d’ispezione sulle moie e i moiatori, con relativo obbligo di riferire al Podestà circa le infrazioni42. Infine vengono nominati ispettori sulla dogana e sulle sue entrate43. Così la funzione del doganese camerario sempre più si avvicina a quello di un magazziniere e di un cassiere e sempre più si allontana da quella di un ministro del tesoro comunale.
Ma non per questo si può dire che la figura del Camerario di dogana perda d’importanza. Anzi, nel secolo XIV, come si è detto, il Comune completa e riorganizza la sua dogana del sale. Norme precise per l’elezione dei doganesi, uno o più, provvedimenti per il loro stipendio, norme per l’elezione e salario dei doganesi, norme per il salario del misuratore del sale, attestano la vigile cura del Comune per l’azienda del sale44.
Circa il 1377-1390 si fa qualche ritocco all’ordinamento delle saline stabilendo che i doganesi non possono fare altre spese che quelle necessarie alla produzione del sale, compenso ai cuocitori compreso: le altre spese sono demandate alla Camera Comunale; e anche questo segna certamente un perfezionamento amministrativo45.
Si stabilisce anche espressamente per i doganesi la non rieleggibilità alla carica per 10 anni, pena la nullità della fatta elezione46.
Siamo così al termine del secolo XIV. Ma in fondo a quest’epoca, è il frutto maturo dell’organizzazione comunale del monopolio del sale. Nel codice G 16 si trovano carte 425 e seguenti, nelle aggiunte degli statutari, norme complete circa il funzionamento della dogana. Esse certamente non rappresentano che la codificazione di vecchie consuetudini: o meglio il riordinamento legislativo di quanto in pratica già da tempo esisteva.
Fondamento della amministrazione doganale volterrana è la distinzione fra dogonese del sale e doganese della pecunuia: i due doganesi assumono in questa epoca funzioni completamente distinte, anzi antitetiche, e si controllano a vicenda. A ciascun doganese è assegnato un notaio che deve segnare e autenticare le annotazioni di entrata e di uscita. L’elezione dei due doganesi veniva fatta senza deciderne le attribuzioni: la sorte sola doveva destinare il carico del tesoro (pecunia) o dei generi (salis). Ai due doganesi cumulativamente era dato potere di concludere l’appalto per la produzione del sale e anche di contrarre mutui, sempre però per le necessità dell’esercizio dell’azienda. Si fissa l’orario di ufficio dei doganesi e del notaio, si stabilisce che i magazzini devono essere chiusi a tre chiavi: una delle quali affidata al magazziniere (doganese del sale), una al notaio di questo e una al tesoriere (doganese della pecunia). Si stabiliscono pene severe per gli ufficiali che sottraggano sale, anche di infima qualità (quei grossi et pigne che una volta erano lasciati ai cuocitori). Si stabilisce l’obbligo del tesoriere di versare gli incassi a fine di cuocitura.
Ma più interessante è il meccanismo col quale avvenivano le vendite. Il compratore doveva presentarsi al tesoriere (doganese della pecunia) e versare l’importo corrispondente alla quantità di sale acquistata: riceveva così un buono a uscita di magazzino (apodissa), sul quale erano segnate la quantità di sale da consegnarsi e la data: il buono doveva essere di mano del notaio del tesoriere e sigillato, altrimenti non era valido. Il compratore presentava l’apodissa o buono, al magazziniere (camerario del sale) il quale consegnava il quantitativo segnato e ritirava il buono stesso conservandolo in filza. Tanto il tesoriere che il magazziniere dovevano nei primi 4 giorni di ogni mese mandare al Camerario del Comune (ecco il vero e unico ministro delle finanze) esatto resoconto del movimento di magazzino e delle riscossioni: i quaderni (bastardelli) con le annotazioni venivano conservati in un armadio della Camera Comunale, a doppia chiave: una chiave veniva conservata dal Camerario del Comune e l’altra dai notai della dogana. Se il doganese del sale o il suo notaio o il misuratore tante presumptionis fuerint da vendere il sale absque apodissa scripta manu notari doganensis pecunie et sigillata bullectino dicti doganensis pecunie, venivano puniti severamente.
Questo rigoroso sistema contabile non è ancora la partita doppia; ma è quasi una partita doppia. Per essere cià gli manca soltanto l’annotazione delle apodisse, con le somme riscosse, a margine delle uscite del magazzino: ma in sostanza la filza delle apodisse, da conservarsi dal magazziniere, tiene luogo dell’annotazione di esse sul bastardello di uscita del sale. In sostanza è questo uno dei primi esempi di partita doppia, almeno embrionale47. E la distinzione capitale fra tesoriere-cassiere e magazziniere l’ho trovata anche nei registri contabili posteriori a quest’epoca che ho potuto consultare.
Alle rigide norme contabili non si fanno eccezioni. Soltanto vi è una contabilità a parte per le consegne del sale al delegato fiorentino: per queste consegne le apodisse o buoni di consegna potevano essere rilasciate senza corrispettivo versamento delle somme: i conti li avrebbe fatti poi la Camera Comunale. Siamo in materia di alta finanza influenzata, come sempre, dalla politica: Firenze riceve il sale dall’azienda autonoma comunale: il Comune soltanto farà i conti. Sotto ai doganesi vi è il misuratore del sale e gli altri minori impiegati, tutti i distinti però dai cuocitori, impresari di produzione, i quali sono semplici privati assuntori di pubblico servizio, legati ai direttori della dogana e al Comune da un vincolo che è un po’ di diritto pubblico (in quanto vengono poste sanzioni penali ai cuocitori infedeli e ai cuocitori viene imposto giuramento) e n po’ di diritto privato (in quanto essi sono pagati a misura della loro produzione e debbono provvedere a questa coi loro mezzi). Si tratta cioè di una vera e prorpia concessione ammministrativa che ah molti punti di contatto con le moderne concessioni di mprese pubbliche e così per esempio con la concesssione di coltivazione di tabacco per la regia.
A me sembra che quest’ordinamento sia un modello si sapienza amministrativa: con semplicità di mezzi e con un personale limitato allo stretto necessario, senza ingomro i farraginosi controlli, si ottiene una grande sicurezza sul mangeggio del denaro e sul movimento di magazzino: i due doganesi sono posti in antitesi; i due noti garantiscono con la loro fede le operazioni; i conti vengono mensilmente rimessi alla Camera Comunale, naturalmente con le pezze di appoggio; rubare sembra un po’ difficile in tali condizione! E’ ormai lontano il tempo in cui “era sicuro il quaderno e la doga48” e l’aumentata malizia aumenta la sapienza amministrativa49.
Ma forse Volterra più di altre città poteva svolgere e portare a tale perfezione l’organizzazione della dogana. Perfezione che non è soltanto amministrativa, ma anche tecnica.
Alla fine del secolo XIV e giusto intorno al 1379, la vendita del sale si trova così disciplinata; si distinguono 5 specie di vendite: vendite al minuto e vendite all’ingrosso del sale fino ai foresi e ai cittadini, vendite delle pigne, vendite del sale di spazzatura, vendita di sal grosso buono, vendita di sal grosso cattivo. Non siamo in grado di trovare un equivalente odierno alle “pigne” e ai “grossi”… Certo le pigne, i grossi, il sale di spazzatura costituiscono una specie inferiore, anzi dei sottoprodotti: ma in che cosa veramente consistano non so dire. Questa distinzione peraltro attesta, come ho detto un grande progresso tecnico nella produzione del sale50.
Volgiamo ora lo sguardo a un vicino Comune che pur fu possessore di saline, a Pisa.
Qui la dogana è organizzata in un modo a un tempo più rozzo e più complicato. Vi sono inanzitutto due casse, due tesori della dogana: i tambuti, specie di scrigni chiusi a due chiavi (una ai doganieri e l’altra agli anziani), ove vengono versati i denari delle vendite più importanti; la cassa, pure chiusa a due chiavi, ove sembra sia posto il provento generale della dogana. La dogana stessa è amministrata da un direttore (ufficiale), dai dovanieri, riscuotitori e venditori del sale ed eventualmente esattori di un’importa su di esseo51 dal seditore, preposto alle minute vendite e collettore dei proventi di queste, proventi da riporsi nella cassa n.1 (tambuto), dal Sindaco, controllore generale dei conti dei dovanieri, dal massario, custode dell’in essere del magazzino e controllore dell’entrata e uscita del sale. Anche a Pisa ai dovanieri viene inibito di vendere il sale a termine e ad essi viene addetto un notaio52.
Quest’ordinamento della dogana Pisana, è di poco anteriore all’ordinamento che sopra abbiamo esposto per la dogana Volterrana. Ma sembra però tanto meno sapiente! Manca fra le varie partite contabili quel legame che invece collega i vari capitoli del bilancio dell’azienda volterrana del sale; i controlli non vengono fatti automaticamente come avviene a Volterra, con un semplice confronto per le partite contabili, con una savia distribuzione dei carichi e delle responsabilità, ma vengon affidati a dei controllori, il sindico, cioè per la cassa e al massario per la consistenza di magazzino. L’ordinamento pisano sembra un congegno moderno di buracrazia, mentre quello volterrano appare un modello di semplicità amministrativa.
Ma non è strano ciò: Pisa aveva ben altri orizzonti, prima della disfatta della Meloria, che il commercio del sale: e anche dopo la sua rovina come potenza marittima, non si trovò a dover dare della dogana del sale una delle fonti principali della sua ricchezza.
Invece Volterra, con un’economia a tipo minerario e industriale, con dei vicini bisognosi di provvedersi di sale alla fonte più vicina (le distanze, specie per terra, una volta avevano una importanza assai maggiore di quella che oggi hanno), dov’è volgere ogni sua cura allo sviluppo della sua dogana. Anche nelle città e nei popoli, come negli individui, vige la legge edonistica del massimo utile col minimo sforzo, legge che porta alla paralisi degli organi inutili, alla immobilità di quelli meno necessari e al rigoglioso sviluppo e al fine perfezionamento di quelli essenziali.
Difetto di mezzi di studio ci ha impedito di fare un più esteso confronto con altri Comuni. Di quelli finitimi, Siena, come abbiamo detto, non ha un vero e proprio monopolio del sale; Firenze si fornisce, a quanto sembra, a Volterra, e di Pisa abbiamo ora parlato.
Delle vicende della dogana nei secoli XV e seguienti non ci dobbiamo occupare per ora. Diciamo “per ora” perchè non è escluso che in avvenire, se ci sarà possibile, possiamo considerare le vicende della dogana e delle moie anche in queste età più recenti. E neppure è escluso che possiamo un giorno tornare sul cammino percorso e studiare la Dogana del sale sul medioevo volterrano con maggior cura e con più minuta indagine. E neppure, infine è escluso che qualcuno di noi più dotto possa studiare ex professo questo interessante argomento.
A me basta aver richiamato su questa negletta parte della storia volterrana (e, diciamolo pure, non soltanto della storia volterrana) l’attenzione dei miei concittadini.