Questo modestissimo studio non ha davvero la pretesa di dare una fedele immagine della economia medievale volterrana nei riguardi della regalia e del commercio del sale e tanto meno di portare un contributo agli studi sulla finanza del medioevo. Si tratta soltanto di brevi e affrettate note di archivio, male insieme collegate. Se qualche studioso potrà trovare una notizia interessante o un’ipotesi accettabile in questo minuscolo scritto e se vorrà svilupparla sino a portare davvero un contributo alla storia della finanza medioevale Toscana, lo scopo che l’autore si propone sarà pienamente raggiunto.
Ogni ordinamento economico politico e, di riflesso, ogni ordinamento giuridico, risente in notevole misura l’influenza del territorio nel quale esso germoglia e si sviluppa. Altri fattori (etnici, culturali e anche meramente psichici) influiscono sulla economia e sulla legislazione: ma non è ora il caso di occuparci di essi.
Il territorio di Volterra che nel medioevo era in prevalenza boscoso, aveva grandi ricchezze minerali: solfo, allume, sale e sopratutto, nei primi tempi, l’argento delle miniere di Montieri, fonte di ricchezza del Vescovo-Conte. Questo tipo di economia mineraria della vecchia Volterra ebbe certamente influenza notevole sul sorgere del Comune, sulle lotte che questi impegnò col Signore, sullo svolgersi della legislazione statutaria, la quale presenta notevoli e interessanti peculiarità.
Il Comune non fu che l’erede del patrimonio e dei privilegi dei Vescovi e, se si pensa quale ampio e ricco territorio abbracciava il vescovado volterrano, non meraviglia che su questo territorio convergano insieme e le vecchie pretese Vescovili, fondate sui privilegi imperiali, e la dinamica forza di espansione del Comune e le insidie dei Comuni vicini: soprattutto Siena e Firenze; la prima riesce per via di pegni a impossessarsi delle argenterie di Montieri, la seconda, per via di crediti e per mezzo di armi, a porre ben presto Volterra sotto la sua egemonia.
Fra le ricchezze minerarie volterrane, le saline hanno sempre occupato un posto importante. Le più antiche saline volterrane furono a Vada, ma si impantanarono nel secolo XII, mentre erano già sotto il dominio di Pisa1. Acquistarono invece importanza le saline del terriorio di Volterra, poste negli odierni mandamenti di Volterra e Pomarance, che sono ricordate come fiscali fin dal 972: le sorgenti di saline furono soggette a imposta e il Vescovo la percepì fin da quando ebbe poteri comitali2. L’importanza che il sale ha nella alimentazione, la piccola quantità di esso che occorre per l’uso comune, la facilità di sorvegliarne e disciplinarne il commercio hanno fatto sì che sino da tempi remoti il sale sia stato oggetto di regalia, sotto svariatissime forme peraltro. A Volterra esso da prima sembra far parte di una regalia Vescovile e sembra essere cespite importante delle rendite del Vescovo-Conte.
Come si formò il patrimonio del Vescovo? Allorchè il Vescovo ebbe, per successivi diplomi, i privilegi del conte fino a quello massimo di batter moneta, già si era formata la base economica del suo potere. Vendite, donazioni, precarie, forme giuridiche varie accentrarono nella mano del signore gran parte del patrimonio del futuro Comune, e con esso anche diritti regalistici: i privilegi imperiali segnano più uno stato di fatto già esistente che una futura conquista; anzi essi indicano un sorgere di nuove pretese da parte di nuove forze che sboccano giusto in questo tempo nel Comune.
Non è perciò strano che il Vescovo si trovi, sul finire del 1100, signore del territorio volterrano e investito dei diritti regalistici delle saline. Diritti importanti, se davvero Volterra fu il punto centrale del commercio del sale in Toscana3 e se le saline appaiono pegni preziosi, insieme alle argenterie, nel sempre più grave indebitamento del Vescovo4. In questo periodo di potenza del Vescovo-Conte e di timido sorgere del Comune, sembra che il Vescovo percepisse un dazio sul sale che doveva essere raccolto, per applicare l’imposta, in un magazzino (dogana), mentre le sorgenti salse (moie) e la fabbricazione e commercio del sale restavano liberi sotto la vigilanza degli agenti del Vescovo5. Il Comune tenta di sostituirsi e di avocare a sè le ricche rendite.6
Come il patrimonio Comunale sia venuto formandosi è anche oscuro. Sono anche qui giuramenti di uomini di castelli, vendite di parti indivise o divise di terre con i relativi diritti feudali, sottomissioni di nobili del Contado, che lentamente formano il potere territoriale del Comune sul Contado stesso. Sopratutto sono i debiti che signori ecclesiastici e laici contraggono coi cittadini e che portano con se il pegno dei diritti sulle terre delle campagne.
Con la serie infinita dei giuramenti di sottomissione al Comune, devono essere caduti nelle mani di questo anche molti diritti sulle polle salse (moie), onde un primo titolo perchè il Comune possa rivaleggiare col Vescovo sulla dogana. Ma altre ragioni di indole politica (non occorre ricordare tutta l’evoluzione delle libertà comunali), e cioè il declinare della potenza Vescovile e il forte affermarsi del Comune hanno fatto si che, se non di fatto per lo meno in linea di diritto, il Comune potesse, fin dai primi del sec. XIII, affermare la sua preminenza sul commercio del sale, istituendo una propria dogana.
La Dogana, di fronte al Vescovo ancora possessore di molte polle salse e ancora ricco, deve essersi arrestata da principio un po’… sulla carta. Il Comune deve, cioè, avere avuto una parte non assoluta, come l’ebbe di poi, nel commercio del sale e nella percezione dei dazi.
Ma i fatti si accanivano contro i poteri temporali del Vescovo e dove non poteva la ragione, poteva la forza. Così, fra il 1203 d il 1204, i Volterrani assaltano Pomarance, terra ricca di acque salse7 e si impossessano del Castello. Di qui la lite fra il Vescovo e i Volterrani, lite che termina con un patto di accomodamento fra Vescovo e Comune, secondo il quale i Volterrani restituiscono il Castello, ma sono immuni da ogni dazio o accatto, e, cioè, (questo per quel che ci interessa), il Vescovo perde la sua assoluta regalia sulle saline e l’acquista il Comune: illazione ben facile a trarsi, dati i moventi della disputa e il lodo che la definì.
Già a quest’epoca sembra stabilito un regime di accordo, fra Comune e Vescovo, per il sale: un accordo per il quale i redditi della dogana vanno divisi a metà. E’ ciò che accade anche per altre regalie, compresi i banni e le pene da riscuotersi nei castelli.
Si disputa solo della metà della dogana che il Comune vuole rivendicare a sè, non sappiamo per quali ragioni. E così si invia un allegato a Bologna a chiedere parere circa diritti Comunali sulla dogana8. Secondo l’esito del consiglio chiesto, e ove questo sia favorevole, dovrà il Potestà far valere e realizzare i diritti del Comune. Ci è ignoto il responso dei giureconsulti Bolognesi. Certo non deve essere stato avverso se dopo il 1227 sempre più vitale troviamo l’organizzazione doganale salina del Comune9.
Tanto forte era il Comune che i privati possessori di moie non potevano alienarle a terzi acquirenti senza prima avere sentito e interpellato il Potestà e consoli, i quali avevano diritto di prelazioni per l’acquisto entro il termine di otto giorni; ove la prelazione non fosse stata esercitata dal Comune il proprietario poteva vendere ad altri, ma sempre a cittadini di Volterra. In seguito, oltre i foresi, saranno eccettuati dalla facoltà di acquisto anche i chierici, gente sospetta, in questioni di regalie, di fronte al Comune; il venditore sarà inoltre obbligato a far denuncia del nome del compratore.
Tali capitoli poi dovevano entrare nel sacramentum populi. Infine si stabilirà una vera e propria espropriazione delle moie, in quanto che il Comune non avrà più soltanto prelazione negli acquisti delle acque salse, ma sarà l’unico legale acquirente: siamo ormai al monopolio e la evoluzione si segue con cristallina chiarezza negli statuti volterrani dal 1227 al 126510. Ma, come sempre avviene nei fatti umani, non diritta e senza deviazioni è la strada: ritorni indietro, ci sono e non mancano tentativi da parte dei Vescovi di rinvigorire l’ormai arido albero del loro temporale potere; tuttavia la dogana del sale, cara amorosa dei magistrati volterrani, sempre più si consolida fino a che, al declinare del 1200, diventa vero e proprio monopolio Comunale.
Notevole in questo periodo di transizione è la politica finanziaria che il Comune tiene col Vescovo; politica ora aggressiva ed ora conciliante: al Vescovo viene riconosciuto il diritto di tenere un suo rappresentante nella dogana, per la salvaguardia della sua parte di diritti, ma in subordine ai camerari del Comune; così anche a lui viene riconosciuto di poter interloquire per la nomina dei rettori di certi castelli11. Mentre il Vescovo nelle sue pretese si attacca ai suoi antichi privilegi, il Comune attua i suoi programmi in materia finanziaria di fronte al Vescovo stesso e li maschera con la consueta protesta di agire secondo il suo stretto diritto. La verità è che il più forte è il Comune. Più forte nella finanza come è più forte nella politica e nelle armi.
Il Vescovo, stretto fra l’incalzare delle conquiste comunali, guelfe o ghibelline poco importa, e fra le pretese di creditori insoddisfatti e le richieste della Camera imperiale, non è un avversario invincibile.
Ma a un certo momento il caos regalistico della finanza in Toscana (caos sorto dalle pretese dei Comuni e dalla debolezza dei Signori) sembra doversi chiarire e sembra che un grave pericolo minacci e le pretese dei borghesi e i privilegi dei conti: i primi avevano, a dispetto delle leggi sull’inalienabilità del feudo, acquistato insieme terre e regalie, ed i secondi avevano permesso ciò ed erano morosi per i tributi feudali di fronte alla Camera imperiale. Federico II rianima l’idea imperiale e coi suoi messi cerca di rivendicare i diritti fiscali dei quali deboli vassalli e città ribelli hanno fatto scempio. Così a Volterra Pandolfo della Fasanella si affaccenda a riprendere per la Camera imperiale dazi, miniere e saline2.
Ciò avviene fra il 1240 e il 1241: ma al Comune troppo è cara la dogana del sale e d’improvviso, mentre fino a questa epoca si è seguito un sistema accentratore e di diretta conduzione della dogana stessa, ora vengono annullati tutti i capitoli che si riferiscono alla dogana del sale e agli ufficiali doganali e si delibera di concludere l’affitto, o meglio vendere i frutti (è differenza formalistica, ma ha pur dovuto avere la sua importanza) della dogana del sale ad una privata Società. Ciò avviene nel 1236, tre o quattro anni appena prima dell’apparire delle pretese del Capitano generale Pandolfo quando già le rivendicazioni della Camera imperiale e il riordinamento finaziario era in atto in tutta la Toscana12.
Nel 1238 il contratto di cessione dei frutti alla Società composta da certi Bonfidenza q. Paltoneri, da Ugolino q. Ubaldini e Gualtiero q. Uberti, è stipulato13: il contratto dovrà essere introdotto, e lo è, nel sacramentum populi e i capitoli ad esso relativi non potranno essere cancellati dallo statuto14.
Ci è ignoto il canone di affitto: sembra però che il contratto, del quale ci resta con un riflesso negli statuti, sia alquanto ambiguo, se nel 1250 il Comune dispone a suo beneplacito di vendite di sale a quei di Montevoltraio a prezzo uguale a quello fatto ai volterrani, sancisce che summa XXX modicorum salis proximo futuro tempore danda ex forma huius capituli non computetur in summa MM modicorum salis quos habere debent Magaloctus Grechi et eius soci ex emptione modo facta a sindico societatis doane15. Ma giusto il 1250 muore Federico II e l’idea imperiale e ghibellina si frantuma: se ancora la casa sveva può tener deste illusioni politiche, in materia finanziaria l’impresa è fallita. Manfredi e Corradino possono aver creato un generoso impeto di resistenza, ma non proprio davvero aver rinsaldato i già lenti vincoli della finanza imperiale.
E dal 1250 in poi il regime di affitto della dogana scompare; i capitoli che fissano tale regime appaiono cancellati nei codici: il capitolo ora richiamato circa la vendita del sale agli uomini di Montevoltraio è pure cancellato e sostituito con questa semplice nota marginale: teneatur potestas facere dari et vendi salem hominibus de Vult. et de illa summa qua coquitur pro dando fominibus de Vult., cioè si tien fermo il patto con gli uomini di Montevoltraio, ma non si fa più menzione di compagnie cessionarie dei redditi della dogana del sale.
Fu proprio la cessione della dogana a compagine di privati un mezzo per ostacolare la rivendicazione dei diritti regalistici alla Camera imperiale? Certo il fisco dell’impero ebbe tale pretesa e i Volterrani ottennero in via di appello all’Imperatore che l’affare restasse sospeso o abbandonato16. Motivi politici e coincidenza di date fanno sorgere l’idea che la cessione della dogana ai privati sia stato un mezzo per gettare una trave sulla strada che la finanza imperiale intendeva percorrere. Ciò è tanto più verosimile, in quanto fino a tutto il 1300, non si trova esempio di simili cessioni.
Si trova al più un impegno dei cespiti della dogana per qualche servizio finanziario del Comune17. Se, dunque, si tiene conto dello slancio iniziale con cui il Comune organizzò la prima dogana al sorgere del 1200 e della perseveranza con la quale la fece rivivere e la riorganizzò dal 1250 in poi, l’episodio dell’affitto ai privati, episodio che coincide con il periodo di restaurazione imperiale, sembra dover essere prospettato come un mezzo e nulla più per ritardar la confisca. Nessun altro motivo plausibile appare per un fatto così grave nella finanza Comunale.
E’ questa una mera ipotesi e come tale la presento al benevolo lettore: altri più valido voglia completamente chiarire questo colpo di scena della storia finanziaria medioevale di Volterra.
Dal 1250 in poi la dogana del sale sembra sempre più accentrata nella mani del Comune18. Il breve cenno che più sotto daremo circa l’organizzazione amministrativa della dogana è una chiara prova di ciò. Intanto si nota che nel 1300 non si fa più cenno di liti col Vescovo o di sue pretese e che la produzione salina ci si presenta in un assoluto regime di monopolio19.
Questo è appunto il lato interessante della storia finanziaria Volterrana per ciò che riguarda il sale: il mantenersi, cioè, di un regime che attraverso due secoli (XIII e XIV) tende direttamente al monopolio e in monopolio si organizza attraverso mille insidie e mille difficoltà. Certo a Volterra non soltanto il sale costituisce regalia monopolistica: a Pisa, per esempio, le saline di Cagliari danno una buona risorsa alle finanze Comunali, tanto che i loro redditi vengono impegnati in momenti di bisogno.
Anche Venezia ed altri stati conobbero fin da remote epoche il monopolio del sale; ma è caratteristico che, mentre altrove il sale viene considerato come una qualsiasi merce e se ne facilita anche il commercio, a Volterra, fin dal 1200 ed anche prima, appaia come monopolio del Vescovo o del Comune20. E non importa che al prezzo di monopolio venga talora aggiunta una tassa21: le cose restano lo stesso, ossia il sale resta in regime di monopolio: monopolio da prima limitato al sale minuto, perchè il sal grosso (i grossos e le pignas) viene escluso dal severo regime monopolistico ed anzi sembra da principio che esso sia tenuto in sì poco conto da essere lasciato ai cuocitori22.
Ma in progresso di tempo si fa giurare ai cittadini e ai comitatini di portare anche il sal grosso alla dogana del Comune23. Nel 1300 anche il sal grosso è organizzato in perfetto regime monopolistico. Quanto al sale minuto, ossia al sale fine, si usavano da prima certi limiti di tolleranza per i cuocitori e moiatori, che potevano trattenerne una piccola quantità a moggio: ma anche questa tolleranza sparì nel secolo XIV.
A fiancheggiare le norme statuarie direttamente interessanti la dogana del sale, il Comune non manca di stabilire sanzioni e facilitazioni per attirare i foresi all’acquisto del minerale prezioso alla sua dogana; divieto di pignorare somme o cosa alcuna, bestie da soma comprese, di chi viene ad acquistare il sale alla dogana del Comune24; pene per chi viola tale immunità: divieto di acquistare sale direttamente alle caldaie ed alle moie, e obbligo di fare ogni acquisto alla dogana25; pene contro chi porta il sale fuori Volterra come privato, salvo il caso (sembra almeno ciò essere stato lecito verso il 1265) che il sale sia portato a Firenze o districtus26.
Invece a Siena, ormai nella seconda metà del secolo XIII, il regime del sale non ha una impronta fiscale sua propria e viene venduto nella dogana comunale con l’olio e con i pesci, tanto per percepire una tassa e disciplinare la vendita27. A colpo d’occhio si vede la verità da noi in principio affermata, che le leggi, ed ancor più gli ordinamenti finanziari, vengono ai legislatori ed ai popoli ispirati dal terriorio nel quale esse debbono aver vigore28. Così la cura che l’interesse finanziario del Comune richiede per ben disciplinare il commercio e il monopolio del sale, dà luogo a un perfetto ordinamento amministrativo della dogana da un lato, ed a una suddivisione dei vari tipi di produzione salina dall’altro. E’ quanto vedremo al termine di questa breve indagine.
> Scopri, L’organizzazione delle prime dogane del Sale