Giovanni Inghirami

Il clima spaziale della nostra era può trovare una logica ed interessante connessione nella storia volterrana. Il nome di un volterrano, un illustre scienziato, si trova già da tempo sulle carte lunari. Si tratta del nome di Giovanni Inghirami, attribuito ad uno dei crateri del lembo orientale della Luna. Egli non è, però, il primo volterrano che si sia interessato di problemi astronomici, anche se, certamente, è il più grande. Raffaello Maffei “il Volterrano” (1451-1522), oggi sepolto nella chiesa di San Lino, scrisse una specie di Enciclopedia intitolata Commentarium Urbanorum in 38 libri, diffusissima e stampata anche all’estero nel 1500. Nel libro XXXV egli tratta anche di questioni astronomiche. Antonio Santucci di Pomarance nel suo Trattato delle Comete (1611) sostenne che quegli astri non sono fenomeni atmosferici ma cosmici. Nel 1582 osservò a lungo una cometa. Costruì la grande sfera armillare del Museo di Fisica di Firenze. Mattia Damiani, il poeta volterrano amico del Metastasio di cui già abbiamo parlato in questa rivista, fu scrittore in versi di cose fisiche ed astronomiche. Nella opera Le muse fisiche (1754), dedicata appunto al Metastasio, egli tratta Dei satelliti di Giove, Della pluralità dei mondi, eccetera.

PADRE GIOVANNI INGHIRAMI

Giovanni Inghirami nacque a Volterra il 26 aprile 1779 dal cavalier Niccolò Inghirami e dalla marchesa Lidia Venuti di Cortona. Ebbe due sorelle e cinque fratelli: Curzio, Marcello, Inghiramo, Giuseppe, Francesco, Anna, poi sposa in casa Del Bava e Orsola coniugata in casa Desideri. Tra essi, meritatamente famosi, sono Curzio, studioso eminente di cose etrusche e locali, Francesco, storico della Toscana, archeologo, fondatore presso la Badia Fiesolana di un Istituto Poligrafico che stampò opere importanti sue e di altri dotti, Marcello, propulsore ed animatore della lavorazione e del commercio dell’alabastro.

Giovanni a sette anni, nel 1786, entrò nel collegio degli Scolopi di San Michele e ne uscì nel 1792. Durante questi primi studi dimostrò di essere particolarmente bravo in italiano ed in latino. Andò poi a Firenze a studiare al San Giovannino sempre presso gli Scolopi. Nel 1795 entrò nell’ordine calasanziano dopo un esame della sua vocazione, lungamente maturato. Del suo travaglio religioso sono testimonianza alcune lettere che vanno dal dicembre 1792 al 18 luglio 1799, scritte da Firenze alla madre. In data 4 febbraio 1793 anche il padre Canovai, astronomo e direttore dell’Osservatorio Ximeniano, scriveva alla madre dell’Inghirami parlandogli della vocazione del figlio sulla quale, per lui, non esistevano dubbi1. Giovanni si dette ben presto allo studio appassionato dell’astronomia, della geodesia, della meccanica idraulica e dell’ottica. Nel 1800 egli era di nuovo a Volterra per insegnare queste discipline nel collegio di San Michele ove nel 1803 entrò studente il giovane Giovanni Maria Mastai Ferretti di Sinigaglia, il futuro Pio IX, allievo carissimo dell’Inghirami.

La prima operetta di una certa importanza fu pubblicata nel 1803: Princìpi idromeccanici. È un trattatello diretto alla risoluzione di problemi di pratica attuazione. Nel 1805 pubblicava: La statica degli Edifizi. Queste opere richiamarono su di lui l’attenzione dei superiori che lo nominarono docente di matematiche elementari e di princìpi della filosofia razionale e della fisica nel collegio di Firenze.

In quel periodo avvenivano importanti scoperte astronomiche come, ad esempio, le leggi di Bode. Presso il collegio degli Scolopi esisteva da qualche tempo l’Osservatorio Ximeniano, così chiamato dal nome del suo fondatore Leonardo Ximenes. Esso, però, consisteva allora in una vasta sala con pochi strumenti.

LA VOCAZIONE ASTRONOMICA

Giovanni Inghirami si appassionò a questi problemi e volle che, con il contributo del governo francese, che allora dominava la Toscana, fossero acquistati degli apparecchi scientifici molto costosi. Egli, in data 18 gennaio 1813, veniva nominato reggente provvisorio di matematiche al Collegio di Firenze da parte del senatore gran maestro dell’Università imperiale. Per impratichirsi nell’uso di quegli strumenti astronomici pensò di visitare i migliori osservatori italiani. Nell’autunno del 1807 egli si recava, infatti, a Milano all’Osservatorio di Brera ove ebbe come maestri il barnabita Oriani, alunno del famoso Lagrange, il De Cesaris e gli aiuti Carlini e Santini. L’Oriani era famoso in tutta l’Europa per lo studio dell’orbita del pianeta Urano, scoperto nel 1781. Il Monti, esaltandolo nella Mascheroniana, lo ricorda così:

Lui che primiero dell’intatto Urano
co’ numeri frenò le vie segrete,
Orian degli astri indagator sovrano.

A Brera l’Inghirami conobbe tutto quanto desiderava intorno ai circoli ripetitori, ai teodoliti, alle macchine parallattiche, ecc. Ne ritornò ancor più entusiasta per gli studi astronomici. Intanto, con un procedimento originale, calcolava le occultazioni delle stelle dietro la Luna con lo scopo di fornire un metodo per ottenere la longitudine utile, specialmente, per i naviganti. Pubblicò parecchie serie di queste tavole di occultazioni che furono conosciute e pubblicate anche in Germania ed in Inghilterra. Fu aiutato in questa opera anche dal valente astronomo padre Canovai di lui più anziano e che abbiamo ricordato più sopra. Rilevata poi la povertà di carte topografiche della Toscana, nell’estate 1815 pose mano ad un lavoro scientifico di primaria importanza consistente nella illustrazione geodetica e cartografica della Toscana, fondata su rilievi e misure di precisione che dotarono la nostra regione, nel primo Ottocento, di un’opera giustamente apprezzata e che confermarono le ipotesi, che già allora cominciavano ad apparire, sulle anomalie gravimetriche locali dovute all’attrazione delle montagne ed alla variazione di densità e di distribuzione delle masse sottostanti. Con la sua triangolazione della Toscana egli apparve un grande innovatore.

La celebre Carta geometrica della nostra regione alla scala di 1:200.000, disegnata da Pompilio Tanzini, fu pubblicata nel 1830. Questa opera ammirevole rese popolare lo studio della geografia in Toscana ed ebbe pratiche applicazioni per la compilazione del nuovo catasto. L’Inghirami nel 1817 misurò una base tra Pisa e Livorno lunga 8.749 metri, servendosi di un ottimo teodolito ripetitore di Reichembach. Egli sconvolse le cognizioni scientifiche dell’epoca. Altra idea importante fu quella di accompagnare la sua triangolazione del Granducato con l’ipsometria, determinando, oltre che la posizione, anche l’altitudine dei punti da lui osservati.

LA SUA OPERA DI INSEGNANTE

Mentre si dedicava a queste ricerche, egli aveva iniziato (e la continuerà fino agli ultimi anni) la preziosa opera di formatore di falangi di allievi nella matematica e nell’astronomia. Fu il rinnovatore degli studi geografici in Toscana. Alla sua Carta seguirono la pubblicazione dell’Atlante geografico, fisico e storico del Granducato dell’Orlandini e quella del Dizionario geografico, storico, fisico della Toscana del Repetti. Che egli sia stato l’animatore di questi studi lo si può rilevare dal Discorso intorno alla geografia della Toscana pronunciato da lui, nel 1831, in una adunanza della Società toscana di geografia, statistica e storia naturale. Tra gli allievi spicca il padre scolopio Giovanni Antonelli che nel 1851 gli succederà nella Direzione dell’Osservatorio Ximeniano. L’Antonelli fu un acuto interprete dei passi astronomici della Divina Commedia.

Tramite questo discepolo Inghirami si congiunge con il geniale padre Barsanti, inventore del motore a scoppio. L’Antonelli fu, infatti, uno dei più appassionati patrocinatori di questa invenzione e dette per collega al Barsanti il Matteucci. Altro discepolo del nostro Inghirami fu Remigio del Grosso, oltre che astronomo anche poeta. Firenze era allora un centro importante di studi astronomici, in questo degna erede del grande Galilei. Vi studiavano e lavoravano Giovan Battista Amici, uno degli ottici italiani più insigni a cui ricorse più volte l’Inghirami per obbiettivi di precisione. Due suoi grandi obbiettivi sono ancora in uso nell’Osservatorio di Arcetri. Altro astronomo, più giovane dell’Inghirami, allora in Firenze, era Giovan Battista Donati di Pisa, discepolo dell’Amici, uno dei più grandi astronomi dell’Ottocento. C’era del resto nell’Ottocento un grande fervore di studi astronomici in tutta Europa. È l’epoca di Gauss, Bessel, Struve. Stava nascendo l’astrofisica. Il grande Bessel, che i geodeti consideravano il loro maestro per la triangolazione della Prussia orientale, aveva compreso, come l’Inghirami, l’importanza anche mercantile degli studi astronomici. Questi due uomini non potevano non intendersi: l’Inghirami fu chiamato da Bessel a collaborare alla formazione dell’Atlante della regione celeste eclittica, fino alla decima grandezza stellare della zona compresa tra +15° e -15° di declinazione, per conto dell’Accademia delle Scienze di Berlino, Akademiche Stenkarten. Fu l’ultimo a ricevere l’incarico ed il primo ad assolverlo. In meno di due anni presentò, inciso e stampato, il catalogo contenente la posizione di 3.750 stelle, di cui 1.716 di nuova determinazione. Il grande astronomo Encke, direttore dell’Osservatorio di Berlino, anche a nome degli altri colleghi Bessel e Ideler, si congratulava entusiasta. L’Atlante completo era di 24 fogli. Altra opera interessante fu Lo studio astronomico intorno alle osservazioni dei satelliti di Giove fatte dal Galileo. Di tutte queste benemerenze è prova il nome di Inghirami dato, come abbiamo detto, ad uno dei crateri del lembo orientale della Luna.

Parallelamente a questa attività scientifica egli ricoprì anche cariche importanti nel suo ordine. Fu superiore provinciale e poi vicario generale delle Scuole Pie. In questa veste introdusse in quelle scuole delle riforme didattiche modernissime tese a favorire gli studi scientifici di ogni genere.

Egli fu insegnante di matematica di eccezionali capacità didattiche. Stampò molti libri di testo tra cui: Elementi di matematica, Tavole logaritmiche, Trattato di sfera armillare e vari testi di geografia molto moderni. La sua fama fu enorme. Fu iscritto a 18 Accademie, tra cui quelle dei Sepolti, dei Georgofili, degli Euteleti, della Crusca, delle Accademie geografiche di Londra e Berlino, fu commendatore della Croce di Ferro, senatore del Granducato, eccetera.

Lo studio indefesso, fin dal 1839 lo portò alla quasi cecità come il Galileo. Fu operato alle cateratte in Fano, in casa del conte Torello Torelli, dal prof. Luigi Malagodi. Ma l’operazione, parzialmente riuscita, non impedì la fortissima riduzione della vista tanto che nel 1848 egli lasciò ogni incarico, anche quello di direttore dell’Osservatorio Ximeniano ove gli successe il fedele Antonelli. Negli ultimi anni scriveva direttamente solo ai familiari con una scrittura disordinata. Agli altri preferiva dettare il testo sottoscrivendo il suo nome con una calligrafia precisa e minuta. Una di queste lettere, inedita, è indirizzata al vicario capitolare della diocesi di Volterra, Luigi Maria Paoletti2.

Il 28 luglio del 1851, poiché era annunciata una eclissi solare, si fece condurre alla Specola, nonostante si sentisse poco bene. Era però ilare, sereno, festoso, tranquillo come un antico patriarca3. All’alba del venerdì 15 agosto 1851, nel giorno dell’Assunta, morì e fu sepolto nella cappelletta sotterranea dell’Istituto che egli aveva fatto costruire. Il padre Barsottini, allora maestro del Carducci, scrisse l’elegante epigrafe latina che vi si legge tuttora. La Specola Ximeniana gli faceva innalzare nella stanza più grande dell’Osservatorio Astronomico un busto monumentale in marmo, scolpito da Giuliano Chiari. Altra effige, precedentemente, era stata ritratta in tela dal prof. Benedetto Servolini. Altri ritratti furono fatti da Francesco Antonio Martini, dal Vogel e dal Tanzini.

Il ricordo di Giovanni Inghirami si tramandò, qui in Volterra, fino al nostro secolo. Nel 1860 fu inviato nel collegio di San Michele, quale insegnante di matematica e fisica, il padre Prospero Lotti, allievo del padre Antonelli, uno dei discepoli più cari dell’Inghirami. Nel 1867 padre Lotti fondò nel collegio una modesta stazione meteorologica che più tardi, per interessamento del signor Alfredo Morelli, suo discepolo, con deliberazione del Consiglio comunale di Volterra in data 20 maggio e 17 luglio 1905, veniva trasformata in Osservatorio meteorologico Giovanni Inghirami. Era dotato di diversi apparecchi e faceva capo all’Ufficio centrale di Meteorologia e Geofisica.

Nella chiesa di San Giusto in Volterra esiste, sul pavimento, una meridiana eseguita su disegno dell’Inghirami. Le sue opere più importanti sono: Della longitudine e latitudine geografica delle città di Volterra; San Miniato e Fiesole; Della longitudine e latitudine delle città di Pistoia e Prato; Di una base trigonometrica misurata in Toscana nel 1817.

© Pro Volterra, SILVANO BERTINI
Un Inghirami sulla Luna, in “Volterra”, a. giugno 1966; in “Scritti Volterrani”, Pisa, Pacini Editore, a. 2004, pp. 113-118
1 Dobbiamo alla cortesia del dott. Paolo Inghirami l’aver potuto rintracciare la seguente lettera del padre Stani-slao Canovai a Livia Venuti Inghirami come l’altra più sotto di Giovanni Inghirami alla madre. Ambedue le lettere inedite sono conservate nell’Archivio di casa Inghirami; presso gli eredi si trovano ancora il teodolite di cui padre Inghirami si servì per i suoi rilievi geodetici ed altri apparecchi assai interessanti. Lettera del 4 feb-braio 1793: «Ill.ma Sig.ra e Padrona Colendissima. Ieri appunto parlai a lungo col Signor Giovannino, a cui avendo dimandato se perseverava nella sua intenzione, se aveva bene osservato ciò che bisognava fare in ogni Religione e specialmente nelle Scuole Pie, e se pensava che era necessario di saper tutto, non solo mi rispose sempre con la solita costanza, ma disse anche meco che niuno più pensasse a fargli conseguire il suo desiderio. Tanto è per la pura verità. So poi del Noviziato che egli continua come prima nel suo studio e nella sua pietà, sicché non credo che possa più dubitarsi della sua vocazione. D. Pellegrina stette male d’occhi e fu guarita dal-la Signora Marchesa sua cognata. Oggi a otto ebbi lettere dalla Signora Anna e dal Signor Preposto e non mi dicevano cosa alcuna né di D. Pellegrina né di A. Rosa. So solamente che i forestieri stanno bene e si diverto-no. Giacché la Signora Annina ha bisogno di Campagna, potrebbe condurla seco a Cortona: so che vi sarebbe molto gradita. Mi continui i suoi stimatissimi comandi e mi creda di V.S. Ill.ma – Stanislao Canovai».
2 Archivio vescovile – Filza Memorie n. 3, doc. 93. Monsignor arcidiacono Luigi Maria Paoletti: «Ill.mo e Rev.mo Mons. Vicario. Mi era già stata partecipata, pur troppo, la dolorosa notizia della caduta di Mons. In-contri e della perdita che nella successiva morte di lui ho fatto d’un cugino affezionatissimo e codesta città e Diocesi del suo ottimo pastore padre. Il Signore ha voluto chiamarlo a sé e guiderdonarlo della sue lunghe e fruttuosissime pratiche episcopali: e a noi conviene rassegnarsi e cercare conforto al nostro dolore nella ferma fiducia che quell’anima beata aiuterà dal Cielo anche più efficacemente di quello facesse, finché stette tra noi. Io la ringrazio vivamente, Monsignore, del pensiero che Ella si è dato di annunziarmi, malgrado le sue gravis-sime cure pastorali, sì fatto avvenimento e coi sensi del mio profondo ossequio e distinta stima passo all’onore di dichiararmi di V.S. Ill. Rev. Giovanni Inghirami delle Scuole Pie – Firenze 15-4-1848».
3 Archivio privato di casa Inghirami. Questa lettera ci è parsa assai significativa sia per gli accenni al fratello Curzio, sia per la delicatezza e la sensibilità con cui il nostro Inghirami cerca di appianare un conflitto familiare tra il fratello e la madre. E’ un piccolo capolavoro diplomatico: «Carissima signora Madre. Sono in Terranova. L’idea che avevo di fermarmi per qualche giorno in Firenze mi si è interamente dissipata, per la circo-stanza non preveduta dello sposalizio di Curzio. Io ho voluto gustare il piacere di vedere entrare in casa la nuova cognata e studiarne i primi passi e le prime inclinazioni. Posso dirle frattanto che se fu grande la sorpre-sa che provai allorché Curzio dopo averla introdotta in carrozza me ne annunziò per sua sposa, e dall’altro canto esprimo il contento che ho provato nel rilevarne la bontà ed il virtuoso carattere e conoscere che tutto si può sperare da Lei e che è assolutamente tale quale Ella pregava da gran tempo che dovesse essere la sposa di Curzio. La pietà è la sua prima dote ed il sistema giornaliero di vita che segue è veramente regolare. Con mia gran soddisfazione ha introdotto nuovamente il costume della recita del rosario in comune, invitandovi le genti di servizio ed il Marito che non manca di intervenirvi. Questi avvisi a Lei non giungeranno nuovi, giacché meglio di me è informata delle qualità di questa Signora e sento dire che Ella stessa, tempo fa, l’aveva proposta a Cur-zio, fondata credo io, sulle buone doti che in essa aveva scoperto. Se Ella non sa capire come mai un Matrimonio, che doveva riuscirle sì grato, Le sia stato nascosto e sia stato effettuato senza sua saputa, la prego a riflet-tere alla natura delle circostanze e attribuire il segreto al desiderio vivissimo che aveva Curzio di compire il maneggio senza che alcun ostacolo potesse impedirlo; il che lo costrinse ad usar delle cautele anche troppo rigorose nel suo procedere e a mostrare apparentemente una diffidenza di tutti noi che poteva prendersi in mala parte, qualora si fosse trattato di qualunque affare, fuori di questo. Iddio, che certamente ha benedetto questo matrimonio, farà conoscerle essere stato di sua volontà, che sia seguito nella maniera in cui in cui è seguito; e ciò per bene della Ragazza, suo e della famiglia e perché più pienamente fossero esauditi i suoi voti. Intanto qua la Sposa ha largo campo di esercitarsi in molte virtù; specialmente nell’annegazione di sé stessa, e nel distacco dai divertimenti, essendo il paese spogliato affatto di brio. Curzio la tratta con carità e con amore ed Ella gli è veramente affezionata. Segno appunto della benedizione del cielo, giacché nessun umano riguardo può esservi parte, non avendo la Sposa verun motivo di essere soddisfattissima né del trattamento, che è molto par-co e ristretto e in niente superiore a quello che suol giornalmente usarsi nella nostra famiglia né dei divertimenti che per ora non sussistono. La Provvidenza disegna ed Ella stessa coopera ai mezzi di effettuar le sue mire. Essa che ha voluto stabilir questa ragazza in nostra Casa Le ha dato un naturale da confarsi a quello di Curzio, da viver tranquilla con lui e da saper procurare la felicità universale alla famiglia. Io così spero ed ho fiducia che le stesse speranza le nutrisca anche Lei. Credo perciò che Ella ne giubbili come me; e questa opinione del suo contento, accresce anche il mio. L’Annina Le deve fare a mio nome alcune imbasciate. Io Le chiedo la S.S. Benedizione e resto: suo Aff.mo figlio Giovanni – Terranova 4-10-1805».

Comments

  • No comments yet.
  • Add a comment