La cura e la prevenzione emergono come imperativi fondamentali per gli Enti incaricati della salvaguardia del territorio italiano, specialmente in considerazione dell’accresciuto numero di eventi idrogeologici negativi che colpiscono il Paese di anno in anno. Un esempio emblematico di questa realtà è rappresentato da Volterra, costantemente teatro di fenomeni come frane, alluvioni e smottamenti.
Nel corso dei secoli, Volterra ha subito gravi danni causati da tali eventi, come la voragine delle Balze che ha praticamente inghiottito la necropoli di Badia. In tempi più recenti, il centro storico della città è stato colpito da consistenti frane che hanno danneggiato le mura medievali, mettendo a repentaglio addirittura il bastione che supporta l’Acropoli di Volterra. Il degrado ha portato a una significativa riduzione della maestosa cinta muraria etrusca, ora ridotta a meno di due decimi della sua estensione originaria.
La lezione che emerge da queste vicende è inequivocabile: è cruciale agire con prontezza e decisione. La priorità per gli Enti responsabili è la manutenzione, soprattutto dei corsi d’acqua e delle fognature. Nel 2015, il Consorzio 4 Basso Valdarno avviò significative opere di regolamentazione idrica con l’obiettivo di gestire un corso d’acqua secondario nella valle a nord di Volterra e in questo contesto, si inserisce una scoperta straordinaria; la scoperta del secolo: l’Anfiteatro di Volterra.
UNA ZONA RICCA DI TESTIMONIANZE ETRUSCHE E ROMANE
Nel maggio del 2015, prendeva avvio un’operazione di scavo nella valle settentrionale di Volterra, attraversata da un corso d’acqua dal carattere torrentizio, che fungeva anche da scolmatore per il Comune. Questo corso d’acqua aveva già causato smottamenti di notevole entità nelle valli circostanti. Era necessario risolvere perchè questa piccola valle era destinata ad accogliere l’ampliamento del cimitero comunale di Volterra.
La decisione di avviare gli scavi fu motivata dalla vigente normativa in materia di indagini archeologiche preventive, specialmente dopo la redazione della carta del potenziale archeologico dell’area coinvolta. Le operazioni di scavo furono condotte con scrupolo e costante supervisione da parte degli archeologi della ditta Giano. Nonostante l’assenza di testimonianze note nell’area, la sua posizione era eccezionalmente delicata e ricca di complessità, trovandosi tra l’area di Vallebuona e il Portone, un luogo intriso di storia e di reperti archeologici significativi per Volterra.
Questa valle era infatti attorniata da imponenti mura etrusche che si aprivano con il benestare di una delle porte più celebri del passato, Porta Diana. L’area confinava con una delle principali necropoli della città, la necropoli del Portone, oggetto di scavi e ricerche incessanti almeno dal XV secolo. La sua importanza era accentuata dalla vicinanza a una delle porte d’accesso più rilevanti, conferendo a questa zona un ruolo cruciale nella storia delle indagini archeologiche di Volterra.
In epoca romana, anche se priva di evidenze specifiche, questa zona di Volterra si rivelò di notevole importanza. Prima della scoperta dell’anfiteatro, era stato individuato un percorso lastricato che aveva origine dalla piazzetta di San Michele al Foro, estendendosi oltre Porta Fiorentina e procedendo lungo via di Porta Diana. Il settore della città in questione, situato tra la grandiosità del teatro romano da un lato e i resti del Portone dall’altro, conservava notevoli tracce di domus romane, testimonianza della vitalità della zona almeno fino al II secolo d.C. In epoca romana, questo luogo doveva essere considerato cruciale, controllando l’accesso alla città lungo una delle direttrici viarie più importanti, indirizzata verso la Valdera e la Valdelsa. Tutte considerazioni di rilievo, ma nulla faceva presagire la presenza di un anfiteatro sepolto.
ALCUNE DOCUMENTAZIONI STORICHE
L’enigma storico rappresentato dalla mancanza di attestazioni sull’esistenza dell’anfiteatro a Volterra si fa ancor più sorprendente, considerando la lunga tradizione di erudizione e studio che ha sempre contraddistinto la città. Mentre è comprensibile che strade o tombe camerali possano sfuggire all’attenzione, è difficile accettare che un monumento così imponente non abbia lasciato traccia in nessuna fonte storica. In verità, in alcune antiche testimonianze si riscontrano citazioni che apparentemente alludono a un anfiteatro, ma si riferiscono erroneamente al teatro di Vallebuona. Quest’ultimo, visibile almeno parzialmente fino al XVIII secolo, ha ingannato numerosi storici, inducendoli ad una considerazione sbagliata, ma fatto sta che nessuna fonte menziona l’esistenza del vero anfiteatro.
Tale monumento, rimasto ignoto fino al 2015, non a caso viene chiamato “l’anfiteatro che non c’era“; questo epiteto, con un tocco di ironia, fu coniato dal direttore scientifico degli scavi, Elena Sorge e rende perfettamente l’idea di un qualcosa di inaspettato, evocando il concetto di un luogo che, sebbene potenzialmente reale, è rimasto nascosto alla conoscenza umana.
In un testamento del XV secolo recuperato da Umberto Bavoni, che riguarda la cappella adiacente l’area dell’anfiteatro e il terreno a lei annesso, dell’anfiteatro nessuna traccia:
“1470 inditione III die XVI mensis Julii. Dornina Dorotea uxor olirn Attaviani Antonii de Incontris et filia olim ser Jacopi ser Marci de Vulterris dedit et donavit Jacopo Lodovici de Incontris ei Ghuerrerio Iohannis Mocho de Vulterris recipientibus pro se ipsis et ser Bartolo Luce et Lodovicho Michaelis de Tignosellis recipientibus pro cappella noviter construenda ubi est immago gloriose Virginis Marie sita extra civitatem Vulterrarum loco dicto a Porta Fiorentina et pro dote ipsius cappelie unum petium terre partim laboratorie et partim sode et boscate situm in dicto loco a Porta Fiorentina cui a primo dicta Domina Dorotea prout trahit argine qui incipit a meniis veteribus dicte civitatis e trahit per dictum arginem usque ad terrani monialium sancte Clare de Vulterris.”
Anche nelle epoche tardo-medievali e rinascimentali, mancano tracce documentate della presenza dell’anfiteatro di Volterra.
Un elemento che destabilizza la narrativa storica è rappresentato da un’insolita incisione cartografica del XVIII secolo, realizzata da Domenico Vadorini di Pomarance. Questo tipo di rappresentazione rientra nel genere delle ricostruzioni ipotetiche della forma urbana di Volterra, in voga nell’epoca. Dal punto di vista della precisione filologica, alcune di queste cartografie risultano affidabili, mentre altre sono frutto di un lavoro in cui la fantasia talvolta sostituisce i dati congetturati. Ciò che rende questa incisione particolarmente intrigante è che, dove potremmo supporre la presenza di elementi fantastici, l’autore ha avuto il coraggio di immaginare l’anfiteatro proprio nel luogo esatto in cui è stato successivamente scoperto nel 2015.
Il titolo della mappa in questione è “Antiquissimus Volterrae Regiae olim Thuscorum Urbis typus ex monumentis et vestigiis antiquitatis desumptus“. Al suo interno, tre figure si stagliano in altrettanti punti topografici, ciascuna potenzialmente identificabile come un monumento romano. Tra queste figure, una è chiaramente la rappresentazione immaginaria (e stranamente circolare) del teatro romano. Le altre due potrebbero essere interpretate come elementi di abbellimento cartografico, ma vale la pena notare che una di esse, come precedentemente menzionato, si trova in una posizione che coincide con la scoperta effettiva. Questa particolarità aggiunge un elemento di mistero e suggestione alla mappa, ma nella summa delle considerazioni non è da prendersi per buona.
L’unico riscontro di un ritrovamento nell’area occupata dall’anfiteatro è sorprendentemente tardivo. Grazie alle indagini di Denise Ulivieri, risulta documentata una notizia di fine Ottocento. Tale notizia riguarda la scoperta, durante i lavori di costruzione del piazzale del cimitero comunale ad opera di Aristodemo Solaini, di una “massa considerevole di terra da getto”. Questa scoperta portò a ritenere che in passato in quella località fossero state effettuate vaste escavazioni di pietra. L’indizio è supportato dalla presenza di pezzi di panchina scalpellati, rinvenuti a una profondità considerevole, circa 11,50 metri dal piano del nuovo piazzale.
È probabile che durante lo scavo delle fondamenta per la costruzione del piazzale del cimitero comunale siano state incidentalmente intercettate le strutture dell’anfiteatro, ma sono solo congetture.
UNA IPOTESI SULLA SPARIZIONE DELL’ANFITEATRO
La mancanza di tracce documentate dell’anfiteatro nel corso dei secoli solleva interrogativi significativi sul motivo per cui il monumento sembri essere scomparso dalla storia. Una risposta esaustiva ce la illustra Giancarlo Lari, geologo a cui rimandiamo le sue considerazioni.
> Leggi, L’origine colluviale del terreno che ricopre l’anfiteatro
Un risposta più suggestiva invece emersero durante le fasi di scavo condotte nel 2015.
Il 1 novembre di quell’anno, nel giorno di chiusura della prima campagna di indagine, era stata programmata un’apertura straordinaria del cantiere per coinvolgere la cittadinanza. Tuttavia, nei giorni precedenti, un’intensa pioggia colpì Volterra. Il giorno della visita al cantiere, per fortuna, fu sotto un clima mite, ma si scoprì che l’intera struttura scavata era stata ricoperta uniformemente da uno spesso strato di fango alluvionale per almeno 8-10 centimetri.
Questa situazione portò a riflettere sull’ipotesi di una rapida obliterazione dell’anfiteatro, simile al fenomeno osservato nel cantiere durante le intense precipitazioni, ai livelli mastodontici. Questa teoria è avvalorata dalla totale assenza di stratigrafia archeologica nell’area dell’anfiteatro. Anche nelle zone in cui l’interro era più evidente, i geologi individuarono solo 5 macro-stratigrafie alluvionali, caratterizzate da una presenza quasi inesistente di materiali. Ciò suggerisce che l’anfiteatro non sia stato abbandonato gradualmente per obsolescenza sociale, ma piuttosto sotterrato in modo rapido e uniforme, impedendo qualsiasi possibile riutilizzo della zona a un livello altitudinale corrispondente al monumento. Questo evento improvviso spiegherebbe la mancanza di testimonianze successive sulla sua presenza, perchè sparì tutto molto in fretta.
FONTI
ELENA SORGE, VALERIA D’AQUINO, “L’anfiteatro che non c’era. Storia di una scoperta”, in Academia.edu, 2017
ELENA SORGE, Intervista a Archeoreporter