Speak no Evil, quando il diavolo si incontra a Volterra

“Speak No Evil,” diretto da Christian Tafdrup, è un film horror che sfida il concetto di normalità, esplorando come le linee tra comfort e disagio, ordine e caos, felicità e paura possano essere sorprendentemente sottili. La trama mette in luce come piccoli segnali di deviazione dalla norma possano essere tanto inquietanti quanto precursori di violenza estrema.

La storia segue una famiglia danese in vacanza in Toscana: Bjørn (Morten Burian), sua moglie Louise (Sidsel Siem Koc), e la loro figlia Agnes (Liva Forsberg). La loro esperienza sembra ordinaria, finché non incontrano una coppia olandese, Patrick (Fedja van Huêt) e Karin (Karina Smulders), e il loro figlio muto per una malformazione alla lingua, Abel (Marius Damslev). Tornati in Danimarca, Bjørn e Louise ricevono un invito per un weekend in Olanda da Patrick e Karin. Nonostante le iniziali esitazioni, accettano. Ciò che avrebbe dovuto essere una visita amichevole si trasforma presto in un’esperienza inquietante, mettendo in evidenza comportamenti sempre più disturbanti da parte degli ospitanti.

Tafdrup sfrutta magistralmente l’apparente normalità per creare un’atmosfera di crescente tensione, spingendo lo spettatore a mettere in discussione la realtà e le intenzioni dei personaggi. La colonna sonora, pur essendo sottile, intensifica l’atmosfera di disagio, mentre la fotografia accentua il contrasto tra la bellezza dei paesaggi toscani e la crescente inquietudine dei protagonisti. Attraverso dettagli visivi e gesti sottili, il film costruisce una tensione psicologica che culmina in un finale scioccante.

“Speak No Evil,” presentato in festival come il Sundance e Sitges nel 2022, non è un semplice remake dell’omonimo film del 2013 di Roze, ma un’opera originale che approfondisce le dinamiche interpersonali e la vulnerabilità umana. La storia trae ispirazione da un’esperienza personale del regista, che durante una vacanza in Toscana aveva realmente ricevuto un invito simile da una coppia olandese conosciuta per caso. Sebbene Tafdrup abbia deciso di non accettare l’invito, trovando strano essere ospiti di persone che aveva conosciuto solo superficialmente, quella situazione ha piantato il seme per la creazione di questo film, che, pur essendo di pura fantasia, offre un’immersione inquietante nei lati oscuri delle interazioni umane.

“Speak No Evil” si distingue come un thriller psicologico avvincente, capace di catturare lo spettatore e trascinarlo in un crescendo di terrore che mette in discussione la fiducia nelle convenzioni sociali e il confine tra cortesia e pericolo


COSA PUO’ ACCADERE DI PEGGIO?

Le scene iniziali di “Speak No Evil” possono sembrare ordinarie, ma l’atmosfera è pervasa da una crescente inquietudine grazie alle note ripetitive e a tratti disturbanti di Sune Kølster. Questa colonna sonora, sovrapponendosi alle scene apparentemente serene, suggerisce che qualcosa di sinistro si nasconde sotto la superficie, anche se la natura esatta del pericolo rimane un mistero fino alla fine.

Quando Bjørn e Louise arrivano a casa di Patrick e Karin, vengono accolti calorosamente. Tuttavia, piccoli dettagli cominciano a rivelare crepe nell’ospitalità dei loro ospitanti: la reazione distaccata di Karin al regalo di Louise (tazze decorate con La Sirenetta), il modo in cui la vegetariana Louise viene persuasa a provare il cinghiale selvatico, o il fatto che Agnes riceva solo una coperta e un cuscino per dormire sul pavimento della stanza di Abel. Sono gesti apparentemente innocui, ma rivelano una sottile mancanza di rispetto, come se gli ospiti fossero inconsapevolmente relegati a un ruolo subordinato.

“Speak No Evil” sfrutta con grande efficacia questi momenti, mettendo in luce quanto la società si affidi alle convenzioni sociali come gentilezza, compostezza e decoro, e come le tensioni emergano quando tali norme vengono infrante. Quando Patrick rimprovera bruscamente Abel perché non lascia che Agnes usi uno scivolo nel parco giochi, Louise esprime per la prima volta il suo disagio, ammettendo che i loro ospitanti olandesi non sono così piacevoli come sembravano. Tuttavia, la pressione sociale la costringe a mantenere un’apparenza di cortesia, anche se diventa sempre più difficile fingere. Questo senso di disagio culmina quando Patrick e Karin li portano a cena fuori, assumendo uno sconosciuto babysitter, Muhajid, senza preavviso e mostrando comportamenti intimi e inappropriati al ristorante.

La regia di Christian Tafdrup cattura perfettamente il progressivo senso di inquietudine, utilizzando abilmente la cinematografia per mettere in risalto il contrasto tra la facciata di normalità e il crescente disagio dei protagonisti. Ogni interazione è carica di tensione, trasformando scene apparentemente innocue in momenti di suspense. Le interpretazioni del cast sono eccezionali, ma è Fedja van Huêt nel ruolo di Patrick a distinguersi, incarnando perfettamente il sottile passaggio tra la cortesia superficiale e l’inquietante oscurità.

“Speak No Evil” offre un’esplorazione magistrale delle dinamiche sociali e delle tensioni latenti nelle relazioni umane, rivelando come la rottura delle convenzioni possa essere il preludio a qualcosa di molto più sinistro. Tafdrup conduce lo spettatore attraverso un viaggio psicologico nel cuore della paura, giocando con la nostra aspettativa di ciò che è accettabile e di ciò che invece ci mette profondamente a disagio.

“Cosa può accadere di peggio?” si chiede Bjørn all’inizio di “Speak No Evil”, una domanda che diventa il fulcro della sfida che il film pone ai suoi protagonisti. Scritto in collaborazione con suo fratello Mads, la sceneggiatura di Christian Tafdrup si trasforma presto in un’esplorazione della tolleranza di Bjørn e Louise verso situazioni sempre più scomode e imbarazzanti. Si scopre che la loro capacità di sopportazione è sorprendentemente elevata; anche quando sembra che abbiano raggiunto il limite, un inaspettato colpo di scena, unito alle suppliche persuasive di Patrick, li spinge a rimanere e proseguire la loro visita. Bjørn, infatti, è riluttante ad andarsene, poiché nonostante le stranezze, non riesce a non ammirare l’apparente gentilezza e apertura dei loro ospiti. Sarebbe davvero scortese rifiutare.

Durante un viaggio in auto verso un luogo desolato e sabbioso, Patrick incoraggia Bjørn a esprimere la sua insoddisfazione e frustrazione attraverso delle urla liberatorie. Questo atto catartico è un momento rivelatore per Bjørn, un uomo apparentemente ordinario, ma che lotta contro sentimenti di oppressione, timidezza, mancanza di autorità e senso di impotenza sociale. “Speak No Evil” diventa così un ritratto brutale dell’incapacità (o forse della riluttanza) dei suoi protagonisti ad affrontare le proprie insicurezze e difficoltà. Questo silenzioso e passivo atteggiamento li rende vulnerabili e facilmente manipolabili da chi appare più libero, disinibito e amorale.

Il film di Tafdrup, in fondo, è un incubo psicologico che cela un potente messaggio politico: i pericoli dell’aderire ciecamente alle regole quando il tuo avversario non le riconosce affatto. Si sviluppa così un senso di incertezza, perché nella realtà, le persone che si sentono oppresse o impotenti possono essere spinte a comportamenti irrazionali e distruttivi, persino a commettere atti di violenza. È proprio questa sottile tensione che tiene lo spettatore incollato allo schermo, come se attendesse inevitabilmente che accada qualcosa di terribile, mentre Bjørn continua a reprimere il suo disagio, sfogandolo solo in situazioni apparentemente banali e quotidiane


LA DISCESA NELL’ORRORE, QUEL FINALE INASPETTATO

Ripercorrendo il finale, la famiglia danese passa gran parte della vacanza ignorando una serie di trasgressioni e aggressioni psicologiche da parte dei loro ospitanti olandesi, fino a culminare in un colpo di scena tanto sconvolgente quanto inaspettato. Nel corso del film, diventa evidente che qualcosa non va nella famiglia di Patrick e Karin, che dimostrano ripetutamente di essere consapevoli del disagio dei loro ospiti ma di non preoccuparsene affatto.

Questi comportamenti inizialmente scortesi si trasformano gradualmente in veri e propri atti di abuso: Patrick maltratta suo figlio Abel al parco giochi, insulta verbalmente Agnes e Abel durante una coreografia sbagliata e spia Louise mentre si fa la doccia. Alla fine, Louise, ormai esasperata, convince Bjørn a partire con Agnes di nascosto durante la notte. Questa decisione drastica viene presa quando scopre che sua figlia sta dormendo nella stessa stanza con Patrick e Karin, entrambi nudi. Tuttavia, come in un classico cliché horror, il piano di fuga fallisce: l’auto si guasta nel bosco, costringendo Bjørn a cercare aiuto. Quando torna, scopre che Patrick e Karin hanno preso Agnes e Louise in ostaggio.

A quel punto Bjørn non può far altro che apprendere che Patrick e Karin sono dei sadici criminali, intuisce che hanno rapito Abel e intendono fare lo stesso con la sua famiglia. E in questo frangente si capisce che Abel non ha alcuna malformazione alla lingua, ma è risultato di una recisione voluta. Un destino infelice che spetta anche ad Agnes, e mentre Bjørn e Louise sono testimoni impotenti di una Karin che taglia la lingua della figlia, Patrick e Muhajid decidono di condurli in una miniera vuota, dove poi trovano la morte in una lapidazione.

Speak No Evil costruisce abilmente la sua trama verso la follia, ma è un peccato che non riesca del tutto a concludere degnamente. Il destino di Bjørn e Louise è spiacevole, ma mentre il regista Tafdrup vuole far intendere che la loro passività climatica perenne sia un riflesso delle loro personalità timide e eccessivamente conformi, essa risulta essere poi alla lunga davvero insensata. Insensata perchè c’è un punto in cui anche gli individui più deboli e codardi alla fine reagiscono, eppure qui anche nei suoi ultimi passaggi, il film opta per scelte narrative non realistiche, senza mai arrivare ad un prevedibile scatto di reazione da parte dei sottomessi. È questo l’unico momento in cui la storia sfiora l’assurdità, chiedendo al pubblico di accettare i comportamenti dei personaggi che sono davvero stupidi e senza senso da qualsiasi punto di vista ragionevole.


IL SIGNIFICATO DEL FINALE DI SPEAK NO EVIL

La questione centrale di “Speak No Evil” è che la cortesia può, in alcune circostanze, diventare la rovina di una persona. Bjørn, intrappolato dalla sua paura del conflitto e dal desiderio di evitare situazioni scomode, si lascia guidare verso la sua tragica fine senza mai opporsi realmente. Patrick in qualche modo viene pure assolto, volendo specificare che alla fine non è tutta colpa sua se poi la coppia va incontro alla morte; in una scena insopportabilmente tesa, Patrick lascia il motore acceso per allontanarsi qualche minuto nel bosco per una pausa bagno. Ciò avrebbe permesso a Louise e Bjorn di prendere le chiavi e scappare, se solo fossero disposti a correre il rischio e a reagire. La sceneggiatura sottolinea che, nonostante il motore dell’auto acceso e un’opportunità di fuga, Bjørn e Louise non colgono l’occasione per salvarsi, bloccati dalla loro inerzia e dalla riluttanza ad agire contro le regole.

Il film diventa così una critica feroce all’incapacità di reagire quando il comportamento scorretto diventa evidente, riflettendo su come l’eccessiva tolleranza e il timore di infrangere le regole sociali possano diventare armi letali. Tafdrup sembra voler sottolineare che a volte il coraggio e l’assertività sono necessari per proteggersi, e che ignorare segnali di pericolo può condurre a conseguenze irreparabili. In questo modo, “Speak No Evil” non è solo un horror psicologico, ma anche un’esplorazione delle dinamiche umane e del pericolo nascosto nella sottomissione passiva alle regole della cortesia. Bjorn fallisce perché non è abbastanza eroe tradizionalmente forte nei momenti cruciali e la sua indole a rispettare le regole dimostra che è intrinsecamente debole, mentre l’altra coppia fa uso di tale debolezza. Alla fine, i protagonisti muoiono per il “reato” di essere semplicemente troppo buoni, decenti e cortesi.


IN PARTE AMBIENTATO A VOLTERRA

“Speak No Evil”, il film del regista danese Christian Tafdrup, ha visto Volterra come location iniziale grazie al lavoro di Francesca Giorli, location manager e responsabile dello Sportello Cinema del Comune di Volterra. Giorli ha proposto e promosso la città come luogo ideale per le riprese, rappresentando un’importante opportunità di promozione per Volterra e la Valdicecina.

Nel luglio del 2022, la troupe cinematografica è giunta a Volterra per girare il film, diventando uno dei primi progetti a ripartire dopo l’emergenza sanitaria legata al Covid-19. Originariamente intitolato “Benelux”, il film è stato prodotto dalla Profile Picture (Danimarca), in coproduzione con Oak Motion Pictures (Olanda) e con la produzione esecutiva della Apapaja Film di Bologna. La troupe nord europea ha trascorso una settimana a Volterra, sfruttando le suggestive ambientazioni di ville antiche della campagna volterrana, vicoli e strade del centro storico.

Le scene iniziali del film si svolgono in un tipico agriturismo del paesaggio nostrano, con momenti di relax in piscina e partecipazione a cene e pranzi tra gli ulivi. Sotto lo scenario di Monte Voltraio, è dove Bjorn incontra per la prima volta Patrick.

Passando al giorno successivo, la famiglia danese si sposta in città alla ricerca di un ristorante tipico toscano. Le riprese si concentrano in Via Nuova, dove Louise, intenta a leggere il menu dell’Ombra della Sera, si interroga se non sia troppo turistico. Bjorn, con ironia, risponde che invece è perfetto, dato che loro stessi sono turisti. Agnes interrompe la conversazione dei genitori notando di aver perso il suo coniglietto, un peluche a cui tiene molto. Bjorn, vedendola dispiaciuta, decide di tornare sui suoi passi, dando il via a una sequenza ritmata di riprese nelle vie del centro storico, quasi tutte di spalle, come a inseguirlo. Le location includono Via Ricciarelli, Via del Mandorlo e Vicolo del Mandorlo, dove Bjorn scherza con una signora alla finestra. Le comparse, per lo più volterrane, non sfuggono all’occhio attento di noi conterranei.

La ricerca continua in Via dei Marchesi e nel sottopasso del Gualduccio. Bjorn arriva infine su Via Lungo le Mura del Mandorlo, sopra il Teatro Romano, dove trova il peluche abbandonato lasciato sulla spalletta. Per uno spettatore occasionale, potrebbe sfuggire, ma chi conosce Volterra sorride nella consapevolezza che Bjorn abbia percorso in modo sconclusionato vicoli e stradine.

Tornando dalla famiglia, Bjorn trova Susan e Louise a chiacchiera con Patrick, Karin e Abel, i turisti olandesi conosciuti in agriturismo. Il dialogo avviene in Via delle Prigioni, all’altezza della Torre del Porcellino, da dove successivamente si apprestano per andare a mangiare tutti insieme al Pozzo degli Etruschi.