Speak no Evil, quando il diavolo si incontra a Volterra

Secondo Speak No Evil, le linee tra comfort e disagio, ordine e caos, e felicità e paura non sono così nette e, anzi, possono essere sottili quanto la differenza tra aderire e respingere le convenzioni sociali. Il film horror brutalmente scomodo di Christian Tafdrup naviga in questo spazio inquietante, dettagliando come leggere deviazioni dalla norma siano spesso altrettanto angoscianti e, allo stesso tempo, precursori di violenza estrema.

La storia segue una famiglia danese in Toscana composta da Bjørn (Morten Burian), sua moglie Louise (Sidsel Siem Koc) e la loro piccola figlia Agnes (Liva Forsberg). Questa vacanza non ha nulla di straordinario, così come la richiesta di Patrick di prendere in prestito la sedia a sdraio in piscina che Bjørn sta usando per i suoi vestiti e l’asciugamano, ma ci permette di conoscere un’altra famiglia, quella degli olandesi: Patrick (Fedja van Huêt), la moglie Karin (Karina Smulders) e il loro piccolo Abel (Marius Damslev) stranamente silenzioso. Di Abel, in seguito, poi scopriremo che è muto: ha una malformazione alla lingua, più corta del normale, al punto da non permettergli di parlare.

Al loro ritorno in Danimarca, Bjørn e Louise ricevono un invito da parte di Patrick e Karin per trascorrere un weekend come loro ospiti in Olanda. Inizialmente incerti, decidono di accettare, ma da quel che doveva rivelarsi una tranquilla rimpatriata, giunti a destinazione, alcuni atteggiamenti di Patrick e Karin mettono a disagio Louise, portando la coppia a decidere di ripartire; è da qui che inizia l’horror.

“Speak No Evil” esplora la sottile linea tra la normalità apparente e le tensioni non espresse. La trama suggerisce che i gesti apparentemente innocui possono diventare i precursori di eventi più sinistri, e le dinamiche interpersonali diventano il terreno fertile per scatenare il terrore. Il film sembra offrire una visione psicologica delle relazioni umane, svelando la fragilità dietro le apparenze e mettendo in discussione la stabilità delle interazioni quotidiane. Questo lo fa sin dall’inizio; ad esempio, l’ambiente tranquillo della Toscana contrasta con la crescente tensione emotiva, creando un’atmosfera avvolgente che tiene lo spettatore incollato allo schermo. La colonna sonora, sebbene probabilmente non dominante, contribuisce all’inquietudine generale. Sicuramente, il regista Christian Tafdrup, riesce a trasmettere un senso costante di inquietudine, enfatizzando sopratutto da dettagli visivi e da gesti sottili dei personaggi. La fotografia gioca un ruolo significativo nel sottolineare l’aspetto disturbante della storia, con immagini speculate e sfocate che riflettono la turbolenza emotiva dei protagonisti.

Per chi potrebbe pensare che si tratti del remake dell’omonimo film diretto da Roze nel 2013, è importante sottolineare che il film del cineasta danese Christian Tafdrup è un’opera completamente diversa. Presentato in vari festival nel 2022, tra cui Sundance e Sitges, “Speak No Evil” è un lavoro di qualità che sorprende gli spettatori con una svolta imprevedibile negli ultimi trenta minuti; una rappresentazione agghiacciante della psicologia umana, con un’imprevedibile conclusione che lascia lo spettatore interdetto.

Tafdrup ha tratto ispirazione dalla sua personale esperienza in Toscana, dove la sua famiglia aveva realmente incontrato una coppia olandese durante una vacanza. Ricevuto un invito da questa famiglia per visitarli nei Paesi Bassi, Tafdrup ha riflettuto sulla possibilità, ma alla fine ha deciso di non accettare, trovando strano essere ospiti di persone che conosceva solo superficialmente. Queste riflessioni hanno contribuito a plasmare la sceneggiatura di “Speak No Evil”, anche se Tafdrup sottolinea che il film è pura fantasia macabra.


COSA PUO’ ACCADERE DI PEGGIO?

I passaggi iniziali di “Speak No Evil” possono sembrare piuttosto banali, ma è difficile sentirsi a proprio agio quando le note di Sune Kølster, ripetitive e a tratti fastidiose, crescono sopra alcune scene quotidiane, altrimenti tranquille. Lascia presagire che qualcosa di sinistro stia per succedere, ma la vera natura della malevolenza del film rimane difficile da identificare fino alla fine.

Una volta arrivati a casa di Patrick e Karin, Bjørn e Louise vengono accolti calorosamente. Gli ospiti sembrano gentili, ma non si può fare a meno di notare una serie di piccoli gesti strani, come Karin che risponde a malapena al regalo di Louise (tazze da caffè decorate con La Sirenetta), la vegetariana Louise che viene gentilmente spinta a assaggiare cinghiale selvatico, o Agnes che riceve coperta e cuscino per dormire sul pavimento nella stanza di Abel.

Nessuna di queste interazioni è davvero ostile, ma sono tutte chiaramente sgarbate e fuori posto. “Speak No Evil” si compiace di tali momenti e mette in luce quanto riguardo hanno le persone cortesi alle interazioni sociali (gentilezza, compostezza, galateo, decoro) e le tensioni che sorgono quando invece vengono ignorate. Quando Patrick rimprovera bruscamente Abel per non spostarsi in modo che Agnes possa usare uno scivolo nel parco giochi, Louise si spazientisce, ammettendo a suo marito che i loro nuovi conoscenti olandesi non sono poi così “piacevoli da frequentare”. Tuttavia, le norme dettano che lei continui a mostrare un volto felice in loro presenza, nonostante questo si riveli un impegno sempre più difficile; una prova di continue sopportazioni, anche nel frangente in cui Patrick e Karin li invitano a cena in un ristorante, assumendo uno sconosciuto babysitter Muhajid senza avvisarli prima e poi manifestando effusioni in modo inappropriato nel locale dopo.

La regia di Tafdrup cattura magistralmente l’atmosfera di disagio crescente, usando con maestria la cinematografia e le interazioni dei personaggi per mantenere gli spettatori sul bordo della sedia. Il film si insinua nella psicologia delle convenzioni sociali e delle relazioni interpersonali, evidenziando il disorientamento quando queste norme vengono violate. L’interpretazione del cast poi è eccezionale, con una menzione speciale per Fedja van Huêt nel ruolo di Patrick, che incarna perfettamente il lato oscuro di una cortesia eccessiva.

“Cosa può accadere di peggio?” chiede Bjørn all’inizio del film, è la domanda chiave che il film si impone come sfida. Scritto in collaborazione con suo fratello Mads, la sceneggiatura di Tafdrup diventa presto una vera e propria prova della tolleranza di Bjørn e Louise per situazioni scomode e imbarazzanti. Si scopre che questa tolleranza è piuttosto elevata, tanto che anche quando sembra che abbiano raggiunto il loro limite, un colpo di scena inaspettato, insieme alle suppliche di Patrick, inducono la coppia a non interrompere la loro visita. A Bjørn dispiace andarsene, perchè nonostante le stranezze non può fare a meno di ammirare la gentilezza e l’apertura degli ospiti; sarebbe davvero scortese rifiutare.

Durante un viaggio in auto verso una remota regione sabbiosa, Patrick incoraggia Bjørn a esprimere la sua infelicità (riguardo a chi è e alla vita che ha scelto) con grandi urla liberatorie, un atto catartico per Bjørn, un uomo comune alle prese con sentimenti di oppressione, timidezza, mancanza di autorità e impotenza sociale. Come rende crudamente evidente il suo finale, “Speak No Evil” è fondamentalmente incentrato sull’incapacità (o riluttanza) dei suoi protagonisti ad affrontare al meglio la propria vita, le proprie difficoltà, e su come questo silenzioso riserbo li renda facili prede per chi sembra felice, disinibito e amorale.

Il film di Tafdrup è un incubo psicologico con un sottostante messaggio politico sui pericoli nel giocare secondo le regole quando il tuo avversario non accetta che ci siano regole. Potrebbe succedere di tutto, perchè nella realtà le persone oppresse arrivano a fare delle cose stupide, anche a uccidere. Ed è forse per questo che il film tiene incollati gli spettatori, forse in attesa che accada qualcosa di brutto, ma che fortunatamente, Bjørn evita di esprimere apertamente, sfogando e sopprimendo il suo disagio attraverso una serie di scenari relativamente ordinari.


LA DISCESA NELL’ORRORE, QUEL FINALE INASPETTATO

Arrivando a spiegare il finale, riepiloghiamo; la famiglia danese trascorre la maggior parte di Speak No Evil ignorando scomodamente le ripetute trasgressioni, microaggressioni e attraversamenti di confini non detti, il tutto culminando in uno sconvolgente e inaspettato plot twist. Nel corso del film si rende sempre più chiaro che c’è qualcosa di seriamente sbagliato con la famiglia olandese. Patrick e Karin fanno ripetutamente capire agli spettatori che non si preoccupano del disagio dei loro ospiti; ne sono consapevoli.

Man mano, questi gesti scortesi si trasformano in un abuso evidente, a partire da quando Patrick maltratta suo figlio Abel al parco giochi, insulta verbalmente Agnes e Abel quando i bambini sbagliano una coreografia e guarda Louise mentre si fa la doccia. Alla fine, Louise esasperata convince Bjorn a partire con Agnes di nascosto e nella notte, quando scopre che sua figlia sta dormendo in camera assieme a Patrick e Karin nudi; la loro fuga organizzata non puà andare come previsto e in un classico cliché dei film horror, il finale di Speak No Evil inizia quando la macchina di Bjorn si guasta nel bosco, e lui deve cercare aiuto fuori. Ritrovandosi in mezzo al nulla, Bjorn ritorna all’auto, ma con sorpresa scopre che Patrick e Karin, nel frattempo, hanno preso in ostaggio Agnes e Louise.

A quel punto Bjørn non può far altro che apprendere che Patrick e Karin sono dei sadici criminali, intuisce che hanno rapito Abel e intendono fare lo stesso con la sua famiglia. In questo frangente capisce anche che Abel non ha alcuna malformazione, ma è risultato di una lingua volutamente tagliata. Un destino infelice che spetta anche ad Agnes, e mentre Bjørn e Louise sono testimoni impotenti di una Karin che taglia la lingua della figlia, Patrick e Muhajid decidono di condurli in una miniera vuota, dove Louise e Bjørn trovano la morte.

Speak No Evil costruisce abilmente la sua trama verso la follia, ma è un peccato che non riesca del tutto a concludere degnamente. Il destino di Bjørn e Louise è spiacevole, ma mentre il regista Tafdrup vuole far intendere che la loro passività climatica perenne sia un riflesso delle loro personalità timide e eccessivamente conformi, essa risulta essere poi alla lunga davvero insensata. Insensata perchè c’è un punto in cui anche gli individui più deboli e codardi alla fine reagiscono, eppure qui anche nei suoi ultimi passaggi, il film opta per scelte narrative non realistiche, senza mai arrivare ad un prevedibile scatto di reazione da parte dei sottomessi. È questo l’unico momento in cui la storia sfiora l’assurdità, chiedendo al pubblico di accettare i comportamenti dei personaggi che sono stupidi e senza senso da qualsiasi punto di vista ragionevole.


IL SIGNIFICATO DEL FINALE DI SPEAK NO EVIL

È davvero così semplice come sembra: Bjorn era troppo cortese per fermare Patrick. Tuttavia, questa spiegazione non regge. La maggior parte degli spettatori può distinguere tra normali regole sociali e magnanimità, e l’incapacità radicata di Bjorn di agire nel proprio interesse. Nel mondo di “Speak No Evil”, grazia e cortesia sono sufficienti per condannare una famiglia di tre persone a morte. Un bambino viene sfigurato, un altro viene ucciso, e due adulti vengono lapidati a morte perché Bjorn ha troppa paura del conflitto. È importante notare che Patrick in qualche modo viene assolto; in una scena insopportabilmente tesa, lascia il motore acceso mentre si allontana nel bosco per una pausa bagno. Ciò avrebbe permesso a Louise e Bjorn di prendere le chiavi e scappare, se solo fossero disposti a correre il rischio e a reagire. Inevitabilmente, non lo fanno, e il film enfatizza il suo messaggio morale trasparente. Nonostante le scene horror provocatorie, la conclusione conferma un punto di vista fondamentalmente conservatore. Bjorn fallisce perché non è abbastanza un eroe maschile tradizionalmente forte nei momenti cruciali, la sua cortesia dimostra che è intrinsecamente debole, mentre le differenze culturali dell’altra coppia sono solo una finzione per vittimizzare una famiglia borghese. Alla fine, il film vede i suoi personaggi morire per il “reato” di essere semplicemente troppo buoni, decenti e cortesi.

La morale sembra essere che la cortesia, quando portata agli estremi, può essere un tratto pericoloso, specialmente in situazioni in cui è necessario affrontare il comportamento opposto. Il fallimento dei personaggi nel denunciare comportamenti sempre più inquietanti riflette i pericoli della complicità silenziosa. Il messaggio pessimista del film ruota attorno all’idea che evitare il conflitto o il disagio può avere conseguenze gravi.

Inoltre, si approfondisce le aspettative e le norme della società, evidenziando come le persone possano conformarsi a comportamenti educati anche di fronte ad azioni inaccettabili. La narrazione prende una svolta oscura per sottolineare i potenziali pericoli di essere eccessivamente accomodanti, specialmente di fronte a manipolazioni e malevolenze.

In definitiva, il finale funge da monito, esortando il pubblico a riconsiderare le implicazioni della cortesia eccessiva e l’importanza di affrontare comportamenti che reputiamo sbagliati anziché sopportarli in silenzio. Sfida l’idea che la cortesia sia sempre una virtù e sottolinea la necessità di assertività e di opporsi a azioni che oltrepassano i confini etici.


IN PARTE AMBIENTATO A VOLTERRA

“Speak No Evil”, il film del regista danese Christian Tafdrup, ha visto Volterra come location iniziale grazie al lavoro di Francesca Giorli, location manager e responsabile dello Sportello Cinema del Comune di Volterra. Giorli ha proposto e promosso la città come luogo ideale per le riprese, rappresentando un’importante opportunità di promozione per Volterra e la Valdicecina.

Nel luglio del 2022, la troupe cinematografica è giunta a Volterra per girare il film, diventando uno dei primi progetti a ripartire dopo l’emergenza sanitaria legata al Covid-19. Originariamente intitolato “Benelux”, il film è stato prodotto dalla Profile Picture (Danimarca), in coproduzione con Oak Motion Pictures (Olanda) e con la produzione esecutiva della Apapaja Film di Bologna. La troupe nord europea ha trascorso una settimana a Volterra, sfruttando le suggestive ambientazioni di case rustiche, ville antiche della campagna volterrana, vicoli e strade del centro storico.

Le scene iniziali del film si svolgono in un tipico agriturismo del paesaggio nostrano, con momenti di relax in piscina e partecipazione a cene e pranzi tra gli ulivi. Sotto lo scenario di Monte Voltraio, è dove Bjorn incontra per la prima volta Patrick.

Passando al giorno successivo, la famiglia danese si sposta in città alla ricerca di un ristorante tipico toscano. Le riprese si concentrano in Via Nuova, dove Louise, intenta a leggere il menu dell’Ombra della Sera, si interroga se non sia troppo turistico. Bjorn, con ironia, risponde che invece è perfetto, dato che loro stessi sono turisti. Agnes interrompe la conversazione dei genitori notando di aver perso il suo coniglietto, un peluche a cui tiene molto. Bjorn, vedendola dispiaciuta, decide di tornare sui suoi passi, dando il via a una sequenza ritmata di riprese nelle vie del centro storico, quasi tutte di spalle, come a inseguirlo. Le location includono Via Ricciarelli, Via del Mandorlo e Vicolo del Mandorlo, dove Bjorn scherza con una signora alla finestra. Le comparse, per lo più volterrane, non sfuggono all’occhio attento di noi conterranei.

La ricerca continua in Via dei Marchesi e nel sottopasso del Gualduccio. Bjorn arriva infine su Via Lungo le Mura del Mandorlo, sopra il Teatro Romano, dove trova il peluche abbandonato lasciato sulla spalletta. Per uno spettatore occasionale, potrebbe sfuggire, ma chi conosce Volterra sorride nella consapevolezza che Bjorn abbia percorso in modo sconclusionato vicoli e stradine.

Tornando dalla famiglia, Bjorn trova Susan e Louise a chiacchiera con Patrick, Karin e Abel, i turisti olandesi conosciuti in agriturismo. Il dialogo avviene in Via delle Prigioni, all’altezza della Torre del Porcellino, da dove successivamente si apprestano per andare a mangiare tutti insieme al Pozzo degli Etruschi.