Verrazzano Maffei era negli anni fra il 1930 e il 1940 un ragazzo molto intelligente, estroverso, spiritoso. Apparteneva ad una famiglia nobiliare che nei secoli aveva avuto una grande importanza nella storia della nostra città.
Aveva avuto politici, scrittori, uomini di Chiesa. Nel secolo XX la famiglia era andata in decadenza a causa di certe vicende relative alla seconda metà del secolo precedente. Verrazzano però non sembrava accorgersi del grande peso che la storia volterrana gli aveva messo sulle spalle o, meglio, qualcosa lo aveva condizionato. Infatti egli teneva molto nell’aggiungere al suo primo nome anche un secondo che era quello di Scipione. Così facendo si ricollegava a un suo antenato vissuto non molti anni prima di lui e che si chiamava, appunto, Raffaello Scipione Maffei. Costui era uno studioso di cose volterrane molto bravo ed era dotato anche di un vivacissimo spirito polemico. Infatti egli era uso aspettare al varco studiosi o pseudo tali che commettevano errori marchiani nel pubblicare vicende della storia volterrana. Il Maffei li teneva sotto tiro e, al momento giusto, balzava loro addosso “sputtanandoli” in maniera durissima. Il suo discendente si limitava a usare l’arma della poesia in una maniera più “soft”, trovando largo spazio nel settore studentesco – sportivo.
Lo conoscevo benissimo Verrazzano, anzi, eravamo un po’ imparentati in quanto la mia zia paterna Jolanda, aveva sposato Giovanni, zio paterno di lui.
Ricordo che quel matrimonio fra i due, non più giovanissimi, fu celebrato in San Francesco il lunedì di Pasqua del 1943. Seguì in casa Maffei, lateralmente alla chiesa, un modesto rinfresco da tempo di guerra. Per la cronaca ricorderò che in quello stesso giorno nella non lontana Grosseto, un “eroico” aviatore inglese non trovò di meglio che giocare al tiro al bersaglio su una giostra carica di bimbi. Lasciamo però stare questa tragica vicenda e torniamo a noi con Verrazzano che stette al centro del rinfresco con tutte le sue battute.
Egli aveva un bell’aspetto: biondo, riccioluto, occhi celesti, altissime doti intellettuali.
La natura però lo aveva vigliaccamente colpito in quanto era stato aggredito da bimbo dalla poliomielite. Era perciò costretto a camminare con l’aiuto del bastone e, per arrivare da San Francesco in centro, era per lui una faticaccia.
In ogni modo Verrazzano non si sentiva certo sminuito e le sue doti intellettive lo ponevano anzi al centro dell’interesse studentesco, specie al Ginnasio “Carducci” da lui frequentato. Nel periodo successivo alla guerra d’Etiopia le scuole volterrane furono investite da un grosso entusiasmo calcistico. Infatti la Volterrana calcio aveva cessato la sua attività poiché la maggior parte dei giocatori era stata richiamata alle armi. Il regime cercò di subentrare con questa bella iniziativa, organizzando un torneo sul campo di San Giusto, preparato meticolosamente in tutti i suoi aspetti. Vi presero parte le squadre del Ginnasio “Carducci”, dell’Istituto Tecnico Commerciale ”Arnaldo Mussolini”, della Scuola Artistico – Industriale e dell’Avviamento Agrario “Giovanni Inghirami“. Vi furono aggiunti anche per far numero ragazzi che non avevano proseguito gli studi dopo le elementari; parteciparono con due squadre chiamate Prima e Seconda Centuria della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio).
Fu un torneo veramente interessante; vi emersero ragazzi che qualche anno dopo avrebbero costituito l’ossatura della Volterrana calcio, rinata dopo la guerra.
Oltre al valore dei suoi giocatori, il Ginnasio aveva una cartuccia in più nella persona di Verrazzano Maffei, appunto. Non potendo, ovviamente, giocare dava il suo contributo con stornelli e canzoni irridenti alle squadre avversarie. Il tutto veniva subito recepito dai ragazzi del “Carducci” che cantavano i versi di Verrazzano, spesso adeguati sull’aria di canzonette dell’epoca.
Eccone una contro l’Istituto Tecnico:
“Il Tecnico fa mafia e arrapinisce,
gli animi accende con detti assassini;
ha detto già che botte preferisce
e i lividi saran rossi e turchini.
Noi siamo cattivoni,
ma diciamo buoni, buoni: rosso e turchino,
se vuoi veder perfetto contadino!’
Per maggior comprensione si precisa che i colori del Tecnico erano rosso-blu, Il Ginnasio li aveva bianco-verdi; la Scuola d’Arte nero-azzurri, l’Avviamento bianco-neri, le due Centuria giallo-rossi.
> Leggi, L’attività minore al campo di San Giusto
Ed ora uno stornello contro la Scuola d’Arte:
“La scuola d’Arte ha messo i suoi campioni
in ghiaccio per serbarli alla partita,
ma i ginnasiali sono dei leoni
e scenderanno in campo a morte e a vita.
Che movenze alquanto strambe,
che pedate nelle gambe!
La scuola d’Arte
ne prenderà e ne metterà da parte!’.
Verrazzano però non si limitava a sintetizzare, ma talora si abbandonava a composizioni più ampie.
Questa che segue fu composta sull’aria di una canzone di gran successo dell’epoca, “Vivere!”, cantata dal famoso tenore Tito Schipa.
La canzone maffeiana fu scritta e cantata in occasione di una definitiva partita contro i classici rivali del Tecnico, partita che fu vinta, per la cronaca, dal Ginnasio:
“Oggi si combatte una partita
e rifulgeranno le virtù
del Ginnasio, mentre è già finita
per i calciatori rossoblù.
Han comprato tutti gli elementi
per non fare un fiasco colossal,
ma tirando un monte d’accidenti,
scorbacchiati se ne andran…
Tecnico con la pezzola al collo,
Tecnico assisterai al tuo crollo!
Somigli a un cardo, rosso e turchino
dall’apparenza vile,
tu ci dileggi, ci canti “Vento!”
ma creperai di bile.
Tecnico che dici bischerate,
Tecnico pieno di grandezzate,
speri nella tua gioventù,
ma le tue mezze cartucce fanno cilecca
e non sparan più!’
La produzione poetico-canora di Verrazzano suscitava le invidie delle altre scuole, perché in nessuna di esse c’era uno spiritaccio del suo calibro. Infatti, come si evince dal testo della predetta canzone, gli studenti del Tecnico avevano provato a trasformare in versi antiginnasiali, quelli di una canzone di grandissimo successo, cantata dal tenore Giuseppe Lugo, “La mia canzone al vento”. Ne era venuto fuori un aborto che aveva finito con il diventare controproducente.
Però, una bella volta, ci fu per i ginnasiali una brutta sorpresa. Infatti era abitudine dei ragazzi del Tecnico riunirsi in casa delle sorelle Garone, nel loro palazzo fra via Nuova e via Guidi, in quanto esse frequentavano l’Istituto. Noi ginnasiali ci dilettavamo spesso ad andare sono le loro finestre cantando i motti irridenti di Verrazzano.
Un pomeriggio però, dalle finestre aperte del palazzo, venne giù una cascata di note accompagnata da una canzone la quale ripeteva il motivo di un grande successo dell’epoca: “È arrivato l’Ambasciatore”.
Quello però che i ragazzi del Tecnico cantavano, non era il testo piuttosto sciocco della canzone, bensì un testo velenoso contro di noi e che diceva così:
“… O ragazzi che andate al Ginnasio
e sperate una certa vittoria,
deponete oramai ogni speranza
e cessate di fare baldoria.
L’istituto la vuole la coppa
ed è certo che sempre l’avrà,
bianco e verde è il colore che perde,
che mai non si prende la coppa d’onor.
Son venuti i ginnasiali,
con color verde pisello,
sono venuti i ginnasiali
canticchiando un ritornello.
Col pallone sotto il braccio,
portan fieri lo sciarpin…
ed in campo, si sa,
e non c’è da sbaglia’.
tiran fuori la bandierin…”
Questo “exploit” rossoblù ci mise in crisi, anche perché partì subito la ricerca nei confronti dell’eventuale canzonettista: chi faceva un nome, chi un altro. Ma la verità tardò a venire fuori solo dopo molto tempo e senza prove d’accusa. Fu sostenuto da molti, grazie anche a qualche soffiata dell’altra sponda, che l’autore sarebbe stato il massimo dei “traditori”. Verrazzano appunto le cui capacità poetiche furono comperate (dato che lui era un gran fumatore) con un congruo numero di “Nazionali”.
Molte altre cose ci sarebbero da dire su questo interessante campionato studentesco.
Il Ginnasio, oltre ai volterrani come Renato Galli e Vladimiro Ferrari, poteva contare su un bel gruppo di collegiali del “San Michele”; ne ricordo tre fra tutti: Cappelli, Del Punta e Simi. Il Liceo aveva un bravissimo portiere, Fernando Barsotti, destinato a diventare un illustre odontoiatra a Cecina. Dell’Istituto Tecnico non ho memoria di nomi, anche perché la maggior parte non erano locali. L’unico nome è quello del portiere, Vezio Caciagli (detto “Callinella”), un portiere assai bravo che di lì a poco dovrà morire tragicamente nel corso della guerra partigiana. Un bel gruppo era formato dai ragazzi della Scuola d’Arte, come Silvano Bianchi, Emilio “Bruno” Gazzarri e Delfino Bigazzi, futuri calciatori viola.
L’Avviamento era una squadra modestissima, anche perché apparteneva ad una scuola di eliminazioni, assorbita nel 1938 dalla Scuola Media unica della riforma Bottai: prendeva un sacco di goal e poteva contare solo su di un calciatore di valore, Raddino.
Delle squadre della G.I.L. non ho assolutamente memoria, sia perché erano ragazzi fuori dell’ambito scolastico, sia per i modesti risultati raggiunti.
Questo torneo finì per coinvolgere anche le famiglie premurose nel dotare i figli delle tenute da calciatore per chi giocava e di fazzoletti colorati e bandierine per chi faceva il tifo. Al Carducci avevamo un preside estremamente serio, il prof. Corrado Mollame di Napoli, dottissimo in greco e latino. La sua mentalità era quindi ben lontana dai campi di calcio, ma ebbe un sussulto allorché si trattò di sostenere la propria scuola.
Fra gli alunni c’era Alighiero Fratini, il cui babbo, Arnaldo Fratini, era bravissimo nello scolpire aquile in alabastro. Il preside Mollame ne chiese la collaborazione che, naturalmente, fu ispirata a motivi classicheggianti, anzi danteschi in questo caso. Fece confezionare al Fratini un grande cartellone intorno al quale ci stringevamo allo stadio; il cartellone presentava un’aquila ad ali tese sui colori bianco-verdi.
La scritta recitava:
“La bella scuola / che sopra le altre com’aquila vola”.