I luoghi deputati alle corse dei cavalli

A Volterra si tenevano le corse dei cavalli sciolti senza fantino, dette alla lunga, le corse dei barroccini con il calesse e le corse a circuito chiuso con fantino, dette alla tonda.

Lo spazio deputato alla corsa dei cavalli alla lunga era la strada comunale. Prendeva le mosse dalla Piazzetta delle Balze ed aveva la ripresa in cima allo sdrucciolo di Piazza dei Priori. Con maggiore dettaglio, dalla sparita chiesa di San Martino fino alla sede del Casino dei Nobili di Piazza Maggiore. Il percorso in salita che tagliava per Borgo Santo Stefano era delimitato e coperto da uno strato di terra composta da una miscela di tufo e sabbia, soprattutto dove lo sterrato lasciava il posto al lastricato di dentro il centro storico.

Lo spazio deputato alla gara dei barroccini si trovava nella Piazzetta delle Balze.

> Sommario, Una lunga disamina sui cavalli


IL PRATO DI VALLEBUONA

Lo spazio deputato alla corsa dei cavalli alla tonda con fantino venne, invece, individuato nel prato di Vallebuona o Valle Buona o Vallebona. Dopo il 1841 la zona fu denominata Anfiteatro di Vallebuona, in virtù del fatto che sotto questo terreno doveva trovarsi un teatro o anfiteatro di epoca romana, confermato poi nel secolo a venire grazie ad importanti scavi.

Il prato di Vallebuona ha subìto negli anni varie trasformazioni. La pista inizialmente, era piccola; basti pensare che all’epoca Piazza del Campo, sede del famoso Palio di Siena, si distendeva su 339 metri, da percorrersi in tre giri. A Volterra, invece, il tracciato di corsa si sviluppava su 208 metri e solitamente lo si percorreva per fare tre o cinque giri.

Per un lungo periodo, almeno fino agli inizi del Novecento, il difetto della pista di Vallebuona era da attribuirsi alla sua forma; anziché essere ellittica o semi circolare come era normale che fosse, questa si presentava schiacciata tra la Provinciale e le mura del centro storico, tra di loro parallele, risultando così a forma di triangolo isoscele con vertici appena stondati. Peccava dunque di non avere curve dolci e per questo motivo, nel 1874, il Comune di Volterra pensò di allargarla, affrontando di petto le diverse difficoltà tecniche ed economiche come quella di modificare e spostare le vie di comunicazione limitrofe. Il costo non indifferente di questo lavoro ammontava a Lire 3.070.

Sempre allo scopo di migliorare le corse alla tonda, altra ipotesi vagliata fu la realizzazione di una nuova pista in località Bersaglio; grande, ellittica e funzionale persino per le corse dei barroccini che invece si tenevano alla bell’e meglio nel piazzale di San Giusto. Anche la località Bersaglio si trovava in Borgo San Giusto, in una zona a ridosso delle antiche mura etrusche; il toponimo faceva riferimento ad una postazione di tiro a segno qui collocato dalla Guardia Nazionale di Volterra e attivo almeno fino al 1862. La proposta non riscosse successo, perciò la nuova pista, dal costo previsto di Lire 1.984, non fu mai realizzata.

Si riparlò di nuova pista soltanto nel 1923. Il 2 gennaio di quello stesso anno l’ingegnere Filippo Allegri, su incarico di una trentina di appassionati e facoltosi volterrani intenzionati a migliorare la qualità dalla pista dell’Anfiteatro di Vallebona, mise in pratica un’opera di rifacimento.

Tali volterrani, costituitisi in una Società, si prodigarono quindi nel trovare una soluzione pratica all’ampliamento del prato di Vallebuona e ritennero funzionale abbassare la piana del prato e con lo sterro tolto rialzare l’adiacente e sottostante strada Provinciale. L’allivellamento, che andò a colmare la differenza di altezza di quasi un metro, fu fondamentale per espropriare una parte della strada. La via non scomparve, semplicemente andò a tagliare la pista dei cavalli che a questo punto della storia si era allargata fino alla balza degli scarichi pubblici, ovvero oltre il ciglio opposto della via comunale. Con questo sistema era necessario chiudere la strada al transito, ogniqualvolta si disputavano le corse.

Anche se la pista mantenne la forma triangolare, questa poté respirare ai vertici con tre curve più gentili. I volterrani ottennero così una pista lunga 285 metri. Senza grandi indugi si potrebbe dire che la pista dell’Anfiteatro di Vallebuona avesse finalmente la capacità competere con le piste delle grandi città della Toscana, purtroppo negli anni successivi si rivelò l’ombra di una magagna non intuita durante la fase di progetto. Il fatto che la Provinciale intersecasse la pista, per alcuni cavalli, costituì un «handicap» perché il passaggio dal terreno morbido della maggior parte della pista a quello più duro del tratto di strada causava non pochi infortuni che portarono perfino all’abbattimento degli animali stessi. Ben presto venne ritenuta pericolosa e molti fantini cominciarono a preferire altre piste, rispetto a quella di Volterra.

Quando nel 1935 l’avventura delle corse con i cavalli terminò a causa di enormi impedimenti economici, la pista venne soppiantata per altre attività sportive. Le successive variazioni al prato di Vallebuona sono ben più note. Tre anni dopo il fallimento della società ippica, l’architetto ingegnere Bruno Colivicchi presentò un progetto di un grosso impianto polisportivo. Secondo questo progetto lungo il prato di Vallebuona doveva esser costruito un campo di calcio, da tennis e da basket, una piattaforma di pattinaggio e una zona riservata all’atletica leggera; intorno a tutto ciò una pista per le corse con cavalli e per bici lunga 315 metri. Il Comune respinse il progetto sostenendo che vi fossero soldi sufficienti a malapena per un campo di calcio di 45×90 metri. La pista per cavalli così non vide più luce, ma in verità ebbe poca vita anche il campo sportivo, perchè poi, durante i lavori per un ulteriore abbassamento del terreno, si arrivò alla scoperta dei resti del teatro romano.


I GIORNI DI SPETTACOLO

A metà Ottocento le corse alla tonda sulla Pista dell’Anfiteatro di Vallebuona si tenevano quattro volte all’anno. Due si effettuavano il primo e il terzo giorno della festa di Maria Santissima, sotto le celebrazioni di San Sebastiano; una il 15 Agosto, durante la festività dell’Assunzione della Beatissima Vergine e l’altra, in un giorno a scelta, durante il periodo di raccolta del fieno.

Poco dopo, quando il prato di Vallebuona passò in mano ad accollatari di dubbia qualità imprenditoriale e, di conseguenza, quando le corse cominciarono ad essere mediocri, queste si tenevano una volta o due l’anno. Salvo anni sabbatici, l’appuntamento fisso era comunque di Ferragosto.

Nella prima metà del Novecento invece le corse ripresero il loro vigore; merito di una Pista strutturalmente più performante e di Palii regolamentati. Le corse venivano fatte di giugno, di agosto e di settembre, in concomitanza con le fiere di merci e bestiame di Volterra; ovvero il 2 giugno, il 15 agosto e la terza domenica di settembre.

Occasioni importanti attiravano palii straordinari. Ad esempio si tenevano le corse per le feste dello Statuto Albertino (la prima domenica di giugno) e del Patrono di Volterra (5 giugno: SS. Giusto e Clemente). Vennero messe a calendario anche in occasione del primo viaggio inaugurale del treno sulla tratta Saline-Volterra.


IL PUBBLICO

Durante le prime corse alla tonda sulla Pista dell’Anfiteatro di Vallebuona, queste potevano essere viste dalle mura sovrastanti il prato di Vallebuona senza pagare alcun biglietto. Avevano ingresso gratuito anche gli ospiti onorevoli e gli addetti al pubblico spettacolo: essi trovavano posto su due palchetti addobbati nello spiazzo al centro della pista; uno era concesso alla banda cittadina, l’altro ai giudici assieme al Sign. Sottoprefetto, al Sign. Cav. Gonfaloniere e al Comandante di Piazza.

Il pubblico era pagante solo se si trovava all’interno del prato o sulle gradinate installate sotto le mura; tuttavia la visuale garantita dalla spalletta di Via Lungo le Mura del Mandorlo era di gran lunga preferita, perché dalle mura si poteva seguire per intero tutta la corsa.

La pratica di volersi vedere lo spettacolo da sopra le mura minava la vendita del biglietto pari a due crazie, ovvero il corrispettivo di dieci quattrini. Allorché, per risolvere una volta per tutte la faccenda dei “portoghesi”, nel 1852 l’impresario Alessandro Bessi fece richiesta in Comune per poter installare una lunga staccionata a distanza di due braccia dal parapetto di Via Lungo le Mura del Mandorlo; in cambio di questo permesso il prezzo di biglietto sarebbe stato abbassato ad una crazia. La proposta a quel tempo non venne accettata, ma trentacinque anni dopo l’ordinanza del Sindaco Falconicini deliberava che venisse impedito il passaggio su via Lungo le Mura durante lo svolgimento delle corse alla tonda, proprio per lo stesso motivo. Tale pratica venne poi quasi sempre adottata, utilizzando delle tende o dei teli.

Per tutto l’Ottocento, prima che il prato di Vallebuona intersecasse la via comunale, la pista affiancava la Provinciale. Anche la Provinciale, la strada maestra che congiungeva Porta Fiorentina a Borgo San Giusto, offriva un’ottima e gratuita visuale, per cui fu deciso che, per evitare che i passanti allungassero troppo il collo all’interno del prato, venissero innalzate delle altissime stecconate in legno.

Nel Novecento invece la stecconata delimitava la pista al suo interno, mentre, esternamente, era delimitata dal muro della prima gradinata. Nel tratto che scorreva sulla strada venivano innalzate delle tende oscuranti. All’interno della stecconata vi era il palchettone per il corpo bandistico di cui Volterra, a buona ragione, era assai fiera; tutto il resto era destinato al pubblico, ad eccezione di un piccolo tratto che era occupato dal bettolino di Bardola. Il grosso degli spettatori, festosi e vocianti, si trovava sulle gradinate, anche perché consentivano di vedere la manifestazione dall’alto.

Si accedeva alle gradinate dalla zona sottostante il muro di cinta, che regge Via Lungo le Mura del Mandorlo, mentre l’ingresso all’anfiteatro consisteva in una breve scalinata, situata verso il centro della zona a monte, dove si trova l’attuale parcheggio. Nel 1908 per accedere alla Pista dell’Anfiteatro di Vallebuona e assistere alle corse bisognava pagare un biglietto che andava esibito all’ingresso e poi smarcato con un segno di lapis copiativo.

Il prato di Vallebuona di allora, contornato per due terzi da piante secolari, delle quali ancora oggi vi sono alcuni esemplari, era meta preferita di molti ragazzi, ma di spettatori ce ne venivano tanti anche in tempi più remoti; il Palio di Vallebuona era conosciuto in zona extracittadina già dalla seconda metà dell’Ottocento: a dimostrazione di ciò, i manifesti si affiggevano a Siena, a Piombino e all’epoca erano considerati luoghi davvero distanti.


ARIE DI FESTA

Poche sono le testimonianze dirette pervenuteci a noi. Elio Pertici e Giovanni Batistini, attraverso alcuni trafiletti di giornale locale, però ci ricordano alcuni umori degli anni Trenta del Novecento.

In concomitanza al Palio c’era il «Lungo», il marito della Bianchina; con il banco per la vendita di dolciumi era situato subito fuori Porta Fiorentina che, per l’occasione, «tirava» la menta per poi trasformarla in «sigari» e «cazzotti». A fianco altri rivenditori di tipici dolci di Lamporecchio, ma il più caratteristico era quello del nostrano «Bruttini» che, con il suo inseparabile paniere, vendeva semi e noccioline; vendeva anche i «mang’ e béi» e liquirizia. I sigari di menta li faceva da sé, sotto l’occhio di tutti, tirando e ritirando la matassa di zucchero filato, e sbacchiandola sul banco, e vociava: «Duri!… ma duri di menta!»; disinvolto, ogni tanto si sputava nelle mani, per facilitarsi il compito di sbrigare meglio le fila di menta.

Volterra diventava tutta un brusio, come un popoloso alveare. Trombette, vesciche, cavallini col fischio nella coda, levavan di sentimento. E i merciai, giù urli, per richiamar gente; e i chiccai, tonfi, fra montagne di torroni, di brigidini, di ventoline, di nocciòle. Fitte schioccavano le manate dei campagnoli, che tutti si riversavano dai poderi, anche lontani, vestiti a festa, e ridevano nel rintopparsi, e vociavan cordiali: «Toh! figliaccio d’un cane… o come stai?».

Scampanellava il gelataio col carrettino, e c’era anche

Venivano consumati nell’occasione molti cocomeri venduti da «Beltrande» e bevuti tanti e tanti fiaschi di vino. Erano di moda anche le granite che anticiparono a quei tempi le attuali bibite.

© Volterracity, MARCO LORETELLI
BIBLIOGRAFIA
ELIO PERTICI, “Il palio e Tabarre”, in “Volterra”, Pro Volterra
MARIO BATTISTINI, “Dalla Corsa dei Barbari alla Corsa alla Tonda”, in “Volterra”, Pro Volterra
MORENO CEPPATELLI, “Tabarre, il fantino volterrano”, Betti, 2019