Il regolamento della Corsa alla Tonda

Nell’agosto del 1902, in Comune, era stato studiato e approvato un meticoloso «Regolamento per le corse alla tonda nell’anfiteatro di Vallebuona» e da allora, puntuali, ogni anno le corse dei cavalli c’erano davvero.

Le corse durarono fino verso il 1931. Combaciavano con le Fiere d’agosto e di settembre, e per un paio di giorni Volterra diventava tutta un brusio, come un popoloso alveare. Trombette, vesciche, cavallini col fischio nella coda, levavan di sentimento. E i merciai, giù urli, per richiamar gente; e i chiccai, tonfi, fra montagne di torroni, di brigidini, di ventoline, di nocciòle. Fitte schioccavano le manate dei campagnoli, che tutti si riversavano dai poderi, anche lontani, vestiti a festa, e ridevano nel rintopparsi, e vociavan cordiali: «Toh! figliaccio d’un cane… o come stai?».

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Il Teatro Romano ancora dormiva sotto una bella coperta verde-smeraldo, al suo posto una tonda nel mezzo e giro giro la pista sterrata dove facevano correre i cavalli. Sotto gli alberi centenari comode gradinate abbracciavano il prato e brulicavano di gente variopinta e chiassona.

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L’ISCRIZIONE E L’ISPEZIONE

La Direzione delle Corse alla tonda, che venivano indette in Volterra nell’anfiteatro di Vallebuona, venivano affidate ad una Deputazione nominata dal Sindaco e composta di quattro Deputati, la quale era assistita da un Impiegato del Municipio come Segretario. Dal Novecento la giuria del Palio era formata da Stefano Biondi, Dino Caporioni e dal Sandrini.

Mi ricordo anche della caratteristica campanella che dava inizio al Palio. La corsa si articolava sulla disputa delle varie «batterie» per poi concludersi nella finale. I cavalli, scortati prima da «Galantuomo» e poi dall’«Agnella», arrivavano dai vicini Pubblici Macelli e, al loro ingresso in pista, si levava subito l’urlo frenetico degli appassionati.

Coloro che volevano far ammettere alle Corse, i loro cavalli, dovevano far pervenire al Sindaco, non più tardi del giorno precedente a quello della Corsa, analoga richiesta per lettera o per telegramma, insieme a un deposito cauzionale di L. 20, indicando chiaramente nella richiesta il cognome e il nome del proprietario, il nome e l’età del cavallo ed il colore del suo mantello, il nome del fantino ed il costume che questi doveva indossare.

La Deputazione poteva respingere le richieste di quei proprietari che fossero stati squalificati in antecedenza, così come poteva rifiutare quei fantini i quali consti essere stati di disordini in altre gare. Un caso curioso di applicazione di questo diritto capitò a Emilio Lazzeri, detto Fiammifero.

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La mattina della corsa alle ore 8 del giorno i proprietari dei cavalli provvisoriamente iscritti dovevano condurre i loro cavalli sul piazzale delle corse e qui presentarli alla Deputazione la quale dopo di averli visitati decideva della loro definitiva ammissione, ed all’uopo, dove ne sia il caso, poter anche esigere una prova pratica sul terreno.

Ai proprietari dei cavalli che non venivano ammessi per non provata idoneità, veniva restituita la cauzione.

I cavalli idonei iscritti per una corsa rimanevano impegnati con la cauzione per tutte le altre successive organizzate nell’arco dell’anno. Perciò la cauzione veniva restituita soltanto a termine di tutte quante le gare annunciate nel programma. La cauzione, a titolo di penale, avrebbero potuta perderla quei proprietari che ritiravano il proprio cavallo anche da una sola corsa senza averne ottenuta l’autorizzazione della Deputazione, autorizzazione che poteva essere concordata soltanto quando veniva riconosciuto che per qualche accidentalità il cavallo si trovava impossibilitato a prendere parte ad una o tutte le gare successive. I certificati veterinari da presentarsi per dimostrare una malattia o un qualsiasi impedimento sopraggiunto a qualche cavallo dopo la sua iscrizione, erano esclusivamente a carico del richiedente.

Per ogni gara era possibile ammettere anche nuovi cavalli, i quali poi avrebbero dovuto rispettare le regole degli iscritti nelle forme e con le modalità dette in precedenza.


LE BATTERIE E LE CARRIERE

Alle ore 11 del giorno della gara, ultimata la definitiva iscrizione dei cavalli, la Deputazione in una sala del Comune in presenza dei proprietari dei cavalli stessi e dei loro fantini procedevano al sorteggio per la formazione delle batterie di corsa. A tal uopo venivano creati bigliettini contenenti la indicazione e i connotati dei cavalli ammessi; i bigliettini venivano posti in un’urna, dalla quale, previa agitazione dell’urna stessa, venivano poi estratti ad uno ad uno per assegnare a ciascun cavallo il suo posto.

Le corse potevano essere soppresse o rimandate qualora i cavalli riconosciuti idonei non raggiungevano il numero di tre, o se per causa di cattiva stagione fosse resa impraticabile la pista. Bensì la corsa incominciata doveva essere terminata. Quando i cavalli inscritti non erano superiori a tre, veniva eseguita una sola corsa in cinque giri dell’Ippodromo; altrimenti in caso contrario si effettuavano corse di tre giri con una distinzione a più batterie. Con una variazione del regolamento, nel 1926 i giri da farsi erano invece quattro.

I cavalli venivano divisi in due o tre batterie in egual numero di cavalli. A titolo esemplificativo, quando venivano formate tre batterie, il primo estratto dall’urna veniva considerato primo della prima batteria; il secondo per primo della seconda batteria: il terzo per primo della terza batteria; il quarto per secondo della prima batteria e così di seguito. Con due batterie, il primo estratto veniva assegnato per primo alla prima batteria; il secondo per primo  alla seconda batteria; il terzo per secondo alla prima batteria e così via. Dove non si potevano formare batterie eguali, il minor numero di cavalli veniva assegnato all’ultima o alle ultime due batterie.

In nessuna batteria poteva prendere parte un numero maggiore di quattro cavalli.

La corsa poi veniva divisa in tre o quattro carriere a seconda del numero delle batterie. Se le batterie erano tre, le carriere erano quattro; alla prima prendevano parte i cavalli della prima batteria; alla seconda i cavalli della seconda batteria; alla terza i cavalli della terza batteria e alla quarta, la decisiva, il vincitore della prima, il vincitore della seconda e il vincitore della terza. Se le batterie erano due, avevano luogo tre carriere; alla prima carriera prendevano parte i cavalli della prima batteria; alla seconda i cavalli della seconda batteria; alla terza, che era la decisiva, i due vincitori della prima e i due vincitori della seconda batteria. Anche in caso di una sola batteria, le carriere erano sempre tre; alla prima prendevano parte tutti i cavalli iscritti; alla seconda ugualmente tutti i cavalli iscritti meno il vincitore della prima carriera; alla decisiva il vincitore della prima e il vincitore della seconda carriera.


IL GIRO E LE MOSSE

Ciascun cavallo doveva essere contrassegnato sul lato destro con il numero toccatogli nel sorteggio per la formazione delle batterie e lo stesso numero doveva essere portato al braccio destro del suo fantino.

Mezzora prima della partenza, tutti i cavalli iscritti coi loro fantini in completo assetto dovevano trovarsi nella piazzetta dei Pubblici Macelli prossima alle corse e qui la Deputazione controllava per l’ultima volta se i cavalli sono quelli ammessi e se tanto essi come i loro fantini abbiano i contrassegni e l’equipaggio stabiliti.

Nel frattempo avveniva il passaggio della Banda cittadina che, al suono della briosa «Rusticanella», andava a prendere posto su un palco vicino a quello dei Deputati. Il 6 febbraio del 1923 è la Società Filarmonica
Indipendente di Volterra a presentare domanda al Comune affinché gli venga concesso l’uso dell’Anfiteatro di Vallebuona per suonare durante le corse della stagione a venire.

Dopo l’ispezione i cavalli coi loro fantini si trasferivano al Prato ed entravano nel circo dalla parte di tramontana; al loro ingresso in pista, si levava subito l’urlo frenetico degli appassionati. Una volta tutti dentro i cavalli si presentavano davanti al palco dei Deputati alle mosse e poi proseguivano il giro del circo.

Compiuto detto giro, i cavalli non destinati alla prima carriera ed i loro fantini dovevano ritirarsi fuori da Vallebuona dalla parte per la quale erano entrati. In pari modo dovevano ritirarsi fuori dall’anfiteatro i cavalli e i fantini di ciascuna batteria non appena avevano conseguita la loro carriera. I fantini e i cavalli destinati a ciascuna batteria, in procinto di eseguire la loro carriera, si dovevano recare nel circo, alle mosse, presentarsi al palco dei Deputati e fare il giro completo fino al punto stabilito per le mosse.

Compiuto tale giro, i fantini montavano a cavallo e, disponendosi secondo l’ordine del numero d’estrazione, si tenevano pronti per la partenza.

Coloro che erano destinati ad accompagnare i cavalli entro il circo dovevano portare un distintivo. Al momento della partenza dovevano ritirarsi entro lo steccato per rimanervi fino a fine corsa. Vi erano anche forze pubbliche dell’ordine incaricate della sorveglianza del recinto affinché nessuna persona vi entrasse all’infuori dei Deputati e gli incaricati muniti di speciale distintivo.

Agli albori la partenza per le corse alla tonda avveniva tramite il suono della tromba. Nel Novecento le mosse avevano luogo al suono della campana e al dispiegamento della bandiera dopo che i cavalli si erano disposti a seconda del numero loro assegnato nello spazio stabilito e indicato sul terreno; nell’ordine, il numero più basso aveva sempre il posto più prossimo allo steccato.

Se un cavallo oltrepassava il limite della mossa, strappando il nastro, per tre volte prima che ne fosse stato dato il segnale, poteva essere assoggettato a una multa o all’espulsione. I mossieri furono nell’ordine Amelio Gori detto Pasticca o Arturo Biondi noto come il Castrino.

Se in qualche carriera un cavallo o per accidentalità o per una qualsiasi manovra del fantino restava indietro di un giro e veniva raggiunto dai cavalli competitori, doveva trarsi in disparte verso le steccato di cinta per non impedire il passo agli altri, pena la multa o l’espulsione.

La Deputazione infliggeva multe che andavano da L. 5,00 a L. 15,00


PREMI SIMBOLICI E PECUNIARI

Situato dinanzi alle mosse di partenza dette anche riprese di traguardo veniva apposta la bandiera, premio distintivo e simbolico della gara; il fantino a cavallo che nella carriera decisiva lo raggiungeva per primo con la testa del cavallo ne era il vincitore. Nessun cavallo poteva conseguire al premio, se non giungeva alle riprese con il fantino, sebbene fosse partito dalla mossa in tutta regola. Però se qualche fantino cadeva durante la carriera e rimontando sul proprio cavallo giungeva primo alla meta e sempre che il suo cavallo avesse compiuti i prescritti giri di percorrenza, tutto era in regola.

Bandiera a parte, i premi pecuniari venivano assegnati ai soli cavalli che raggiungevano una posizione sul podio; primo, secondo e terzo, ma di tanto in tanto ce n’era uno anche per la corsa di consolazione. La corsa di consolazione, si svolgeva come ultima carriera alla quale prendevano parte tutti i cavalli meno i vincitori. Per ognuno dei cavalli che invece non vincevano alcun premio, veniva corrisposta al rispettivo proprietario un’indennità di trasferta e di soggiorno nella misura stabilita di volta in volta dal regolamento.


IL VESTIARIO

Nel disposto n. 13 art. 71 della Legge Comunale del venti novembre 1849 il vestiario dei fantini doveva essere di pantalone e giubbetto bianco, ed il più che si può uniforme. Dieci anni più tardi i fantini dovevano vestirsi con giubbetto di vario colore, pantaloni bianchi, cappello a tesa rialzata, il tutto proprio e decente.

Il regolamento era da rispettarsi rigorosamente; il fatto curioso del 1859 ce ne dà una prova:

«nelle corse pomeridiane del 20 settembre di quell’anno, due fantini che presero parte alla corsa di cavalli in Vallebuona erano vestiti in modo indecentissimo perché si presentavano in pubblico in maniche di camicia: uno con una pezzola bianca in capo, l’altro con cappello di cencio detto alla pagliaccia».

Secondo l’ufficiale del Sotto Prefetto l’accaduto era grave e grave lo ritenne anche il Sotto Prefetto perché, dice:

«mi rivolgo all’Autorità Municipale affinché prenda quelle determinazioni che meglio reputerà convenienti ove non creda di dover sottoporre l’affare all’esame della Magistratura perché deliberi in conformità».

Ma il Gonfaloniere non spinse l’affare a fondo e, visto il rapporto della Guardia Municipale Felice Milani comprovante il rapporto del Sotto Prefetto; vista la scritta; visti gli articoli; atteso qui, atteso là; per questi motivi dichiarò Alessandro Bessi, al tempo accollatario del prato di Vallebuona, decaduto dall’impresa. E meno male che il caso non fu sottoposto alla Magistratura perché Giusto Manetti, mallevadore del Bessi, fece istanza al Municipio ritenendosi danneggiato e il Consiglio dovette annuire alla domanda di Giusto Manetti.

Agli inizi del Novecento si faceva invece menzione di un mantello di riconoscimento colorato da identificarsi diverso dagli altri dei fantini in gara. L’uniforme personale poteva variare nei materiali e nei colori, ma doveva essere neutra e non indecente.

Inizialmente i cavalli potevano essere montati a piacere, cioè con o senza sella, la quale si rese obbligatoria soltanto dagli anni Venti del Novecento. Con il primo regolamento ai fantini era vietato portare nerbi, frustini bacchette o qualunque giunta alle guide e di percuotere durante la carriera i loro compagni o i cavalli competitori, o di gettarli a terra usando destrezza o violenza, pena il massimo della multa o l’espulsione. Era rigorosamente proibito anche fiancheggiare disonestamente i cavalli competitori spingendoli dolosamente oltre la metà del circo o come suol dirsi tagliando loro la strada per proprio conto o per favorire altri.

A riguardo, degno di nota, fu l’episodio di quella testa calda di Emilio Lazzeri detto anche Checche e conosciuto come Fiammifero. L’urgente denuncia della Sottoprefettura di Volterra riportò, in merito alla corsa del 2
giugno 1904, che il fantino Fiammifero fu lasciato entrare in pista con una frusta sotto il braccio, in contravvenzione all’art. 27 del regolamento delle corse che prevede di non far portare nessun tipo di frusta ai fantini. Questo atteggiamento di Fiammifero alimentò non poco l’animo degli spettatori che, con fischi, urla e minacce, si opposero al far consegnare la bandiera al Lazzeri, rincorrendolo e facendo temere per l’ordine pubblico. In base all’art. 3 del regolamento delle corse il fantino in argomento doveva essere già escluso dalle corse, in quanto squalificato a vita dal Palio di Siena, per un grave fatto di tentata truffa accaduto nel 1901.

> Scopri, Emilio (Fiammifero) Lazzeri

Il frustino fu approvato soltanto nel 1926, vietando comunque la possibilità di percuotere durante la carriera i cavalli competitori e i loro compagni.

© Volterracity, MARCO LORETELLI
BIBLIOGRAFIA
Libretto “Regolamento per le corse alla tonda nell’Anfiteatro di Vallebuona”, Tipografia Commerciale, 1902