Il quotidiano e i luoghi di Volterra nel catasto del 1429-30

Questo studio offre un contributo alla conoscenza della vita familiare e quotidiana e dei luoghi di Volterra e delle sue pendici (il distretto) nel 1429-30. Si basa sullo spoglio completo del registro 271 (più di 900 fogli) e parziale del 193 (enti religiosi), conservati nel fondo del Catasto dell’Archivio di Stato di Firenze. In passato, hanno ricavato notizie dai suddetti documenti Mario Battistini, per alcuni suoi articoli, ed Enrico Fiumi in un saggio del 1975 che trattava della crisi demografica, della distribuzione della ricchezza in città e dell’onomastica familiare.

Man mano che scorrono le pagine si conoscono le famiglie del tempo, il loro vivere quotidiano, il matrimonio, i figli e le eredità, i bisogni principali, le case, il lavoro artigiano o agricolo. Per fare qualche esempio, abbiamo informazioni sugli alimenti del tempo: pane, vino, olio, e vario companatico (uova, formaggi, carne di maiale, insalata, cavoli e legumi); oppure sulle doti delle fanciulle, che per le figlie di cittadini di rango erano di importo altissimo. Lucia, vedova del ribelle Giusto Landini, aveva portato nella famiglia del marito ben 4000 lire, che per vivere doveva farsi restituire dalle figlie bambine eredi del padre.

Il lavoro in città era invece esercitato tramite le arti. Numerose erano le botteghe della Via Nuova: speziali, lanaioli, falegnami e ancora altre. Nelle pendici si praticava l’agricoltura, nei poderi delle famiglie abbienti e nei piccoli appezzamenti. Tante sono le notizie sui lavoratori, i contratti agricoli, le prestanze, gli affitti, il livello, il fare a mezzo. Nella quasi totalità delle partite catastali sulle terre troviamo riferimenti importanti a grano, vigne e olivi: suscita in noi meraviglia se proviamo a immaginare quale fosse il bell’aspetto del monte a quel tempo.

Altre pagine del libro sono state dedicate anche alla povertà e alle malattie, e alla pietà verso il bisognoso: allora, chi poteva farlo, dava per amore di Dio una casa in usufrutto gratuito a una vedova, o somministrava pane, vino e carne ai poveri in occasione di certe ricorrenze religiose, o dilazionava un credito a carico di un invalido e vecchio, chiedendo agli ufficiali del catasto la stessa «discrezione» sul suo imponibile.

Negli ultimi due capitoli del libro, abbiamo tentato una ricostruzione della città e delle contrade, con riscontri incrociati sui confini delle case. Per esempio, abbiamo preso una partita, come quella di Taviano di Nanni di Paolo di Porta a Selci (f. 91v): “chasa in Chastello, a primo via, a secondo Domenicho Luperelli, a terzo le mura della città”, e l’abbiamo confrontata con quella di Domenico di Luperello, vicino di casa (f. 81r): “chasa dirinpetto… la quale non può abitare che v’è dentro i soldati, a primo via, a secondo Taviano di Nanni di Lancillotto.” Abbiamo pensato che le due case fossero attaccate insieme e parte di un isolato. E così via, fino a identificare gruppi di case e di famiglie, e a tracciarne una piccola storia.

Questa ricerca sulle case e i loro abitanti ha interessato anche la piazza dei Priori, le botteghe e le case dei cittadini abbienti, il comune, la cattedrale e il vescovo messer Stefano con la sua corte (curia), i canonici, i pievani (parroci per lo più di campagna) e i sacerdoti, con le prebende, i benefici e le rendite. Caso eccezionale era il pievano di Morba, sposato con Bartolomea da Chianciano, mentre Lodovico Minucci era un canonico di soli 22 anni. Giusto di Puccio, priore defunto di S. Stefano, durante il suo incarico aveva subito il furto di un calice d’argento.

Purtroppo abbiamo dovuto lasciare da parte la quasi totalità delle informazioni sul contado, che pure si trova citato in tanti fogli dei registri 274 e 193, con notizie belle e interessanti. Potrà però essere materia di nuovi studi e confronti.