Francesco (Tabarre) Ceppatelli

Il 1° maggio 1921, si spense a soli 61 anni, Francesco Ceppatelli, meglio noto con il nomignolo che lo accompagnò per tutta la sua lunga e fortunata carriera di fantino: Tabarre. Il soprannome gli derivò perchè probabilmente usava indossare il tabarro, che era un indumento tipico dei barrocciai, una specie di mantella che copriva i tre quarti del corpo.

Le sue gesta di “cavallaio” specialmente quelle legate al Palio di Siena, sono abbastanza note: 11 palii vinti (10 alla “Tonda” e uno alla “Romana”) nelle 39 carriere che lo videro sul tufo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo.

> Sommario, Una lunga disamina sui cavalli

Quello che è invece poco conosciuto, è il Tabarre nella sua vita privata di tutti i giorni. Purtroppo non ho molto da raccontare sul suo conto, poiché le mie ricerche sono iniziate soltanto nel 1982, pochi mesi dopo la scomparsa di mio nonno Vincenzo, a sua volta figlio di Tabarre e unico della famiglia ad aver seguito le orme del padre come fantino, tanto da riprenderne in parte anche il soprannome: Tabarrino.  Egli corse pure delle “regolari”, ma stranamente non fece neppure una prova in “Piazza”. Tabarrino era anche parente di un altro noto fantino volterrano: Il Cavaliere.

Adesso ho il rammarico di non avergli prestato la dovuta attenzione, quando di tanto in tanto raccontava degli aneddoti su suo padre, che ricordo, fu l’ultimo nato dei sei figli che ebbero Luigi e Giuseppa Baroncini.

Ferdinando Francesco Ceppatelli, come recita il certificato custodito nella Curia Vescovile, nacque nei dintorni di Volterra, il 13 luglio 1859 alle ore 8 della mattina e venne battezzato il giorno seguente nella Badia Camaldolese. Francesco, come poi venne comunemente chiamato dai suoi familiari, ebbe a sua volta cinque bambini da Annina Trafeli, con la quale si sposò sempre nella stessa Parrocchia di Badia, il 13 febbraio 1890. A quella data, erano già quasi cinque anni che correva in “Piazza” e già vantava un Palio vinto (nel 1888) per la Chiocciola.

Durante l’anno faceva il cavallaio (come è riportato nell’estratto matricolare di leva, che lo destinava al 21° Fanteria) presso la Fattoria di Vicarello, una grande azienda agricola distante circa 12 chilometri da Volterra, di proprietà di Pericle Incontri.

E’ probabile pertanto che la sua avventura con Siena sia iniziata su suggerimento di qualcuno già inserito nell’ambiente del Palio oppure addirittura spinto dallo stesso proprietario, che aveva osservato la perizia con la quale il mio bisnonno sapeva destreggiarsi con i cavalli.

Correre in “Piazza” implicava assentarsi dalla Fattoria per diversi giorni: per quale motivo gli veniva concesso di allontanarsi dal lavoro per un così lungo tempo? Sarà stato per la sua bravura o perché questi signori ne ricavavano un tornaconto economico? Non riesco infatti a capacitarmi come mai, nonostante gli 11 Palii vinti e le innumerevoli carriere disputate, egli vivesse poco più che al limite della sussistenza. So per certo che nel giugno 1894, subito dopo la nascita dei due gemelli, egli fu costretto a dare a “balia” il secondo nato, Vincenzo, che altro non era che il futuro Tabarrino. E’ rimasto un mistero sapere dove finissero tutti i soldi che guadagnava, tanto che la moglie, ormai non più giovanissima (era sua coetanea), fu persino costretta ad andare a fare la lavandaia per conto terzi.

Eppure, come ho avuto modo di verificare, esiste un documento che attesta che per il “cappotto” vinto per il Drago nel 1890, egli ricevette la considerevole somma di 1750 lire: una cifra che poteva permettergli di acquistare un appartamento. Cosa che non avvenne, in quanto mio bisnonno continuò ad abitare in affitto in un palazzone, che in seguito è stato in parte demolito per permettere la costruzione della nuova via Pisana.

Tornando a parlare della carriera vinta con i colori di Camollia, le cronache dell’epoca ci informano che dopo una partenza non valida, cadde a S. Martino, “onde fu portato da alcuni della Contrada a braccio nell’entrone per prendere parte nuovamente alla corsa, essendo subito stato dato il segnale di cattiva mossa”. Sembra che per un attimo perdesse conoscenza, ma che riavutosi, pur dolorante, fosse risalito a cavallo e riuscisse addirittura a vincere il suo 10° Palio.

Soltanto il giorno dopo, terminati i festeggiamenti, decise di recarsi allo “Spedale” dove i medici, comprensibilmente stupiti, gli riscontrarono una frattura ad una gamba! Il suo stoicismo venne pure declamato in questo sonetto dedicatogli dall‘Istrice:

Scendesti in campo a conseguir vittoria:
cadesti; ti rialzasti, e, benchè affranto,
sugli altri nove riportasti vanto
di non comune e meritata gloria.
La gran tenzone è degna di memoria,
perchè nessuno può ridire quanto
difficil fosse superar cotanto
periglio meritevole di storia.
Vincesti, e il vincer tuo non fu volgare,
ma nobilmente conseguisti onore,
Evviva te! Ciascun deve gridare.
Di tutti noi, te lo diciam di cuore,
e a tutti lo vogliam dichiarare,
ognora avrai rinoscente amore.

Anche le donne della contrada non furono da meno e gli vollero donare un bacile in argento, di cui si sono perse le tracce, con incisa la scritta che ancor oggi si osserva scolpita sopra Porta Camollia: “Cor magis tibi Saena pandit”. E’ ipotizzabile che durante i suoi 23 anni di carriera abbia ricevuto altri regali, che però non sono mai giunti nelle mani dei suoi eredi. Torna quindi spontanea la domanda: chi avrà curato gli interessi del Ceppatelli? Verrebbe quasi da pensare che a lui rimanessero solo le briciole di ciò che guadagnava: neppure mio nonno Vincenzo ha mai saputo rispondere a questa domanda.

Pure nella cerchia dei parenti poco trapelava della sua esperienza di fantino, ma era risaputo che odiava le fotografie. Difficile per un personaggio pubblico come lui rimanere al di fuori delle lastre dei fotografi, ma pare che ci sia riuscito, perché non esiste nessuna immagine ufficiale che lo ritragga. L’unica foto potrebbe essere quella scattata successivamente al Palio vinto dalla Tartuca il 16 agosto 1891, dove si osserva la comparsa in montura intenta a fare il giro della città e dietro, sul cavallo vittorioso, s’intravede un giovane baffuto e smilzo, con in testa un cappello a tricorno, ma non posso garantire che possa trattarsi di mio bisnonno.

> Leggi, Le gare e le vittorie del fantino Tabarre

Tabarre riuscì a stupire anche dopo la sua morte. Un personaggio come lui che non ebbe la cultura dell’immagine, rifiutando ostinatamente di farsi fotografare, quasi a voler far intendere di non voler lasciar traccia della sua persona, volle invece essere tumulato in un complesso monumentale eterno del cimitero di Volterra.

Come appare nel registro che ho personalmente consultato, i loculi furono tutti venduti, tra il 1913 e il 1918, cioè alcuni anni prima che Tabarre morisse.

Poi, per rendere ancora più oscura la vicenda, ho appurato che ad ogni loculo corrisponde la data e nominativo dell’acquirente, eccetto quello di Francesco Ceppatelli che è inspiegabilmente in bianco.

Anche se non sono potuto risalire al prezzo di queste tumulazioni, posso sbilanciarmi ad asserire che non erano alla portata di tutte le tasche. Resta dunque difficile da capire perché, pur non godendo di una vita agiata, abbia voluto investire tanti soldi in una tomba.

Siamo dunque giunti all’ultimo atto della vita del mio enigmatico avo, del quale, confortato dall’aiuto di molti cultori della manifestazione senese, continuerò a ricercarne le gesta. Approfitto pertanto dell’opportunità di usare queste pagine, per invitare coloro che disponessero di materiale utile a questa monografia, di mettersi in contatto con me.

© Moreno Ceppatelli, MORENO CEPPATELLI
Francesco Ceppatelli detto Tabarre

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